Emilio Fede fonda il movimento «Vogliamo vivere» e questa notizia, che irrompe timida in un dolce commiato estivo, ci porta a diverse considerazioni. La prima reazione spontanea è quella classica alla quale siamo abituati grazie a questi anni grotteschi: un ghigno triste che, quasi per contagio, diventa malefico; oppure una risata, ma una risata amara, di quelle a denti gialli.
Da un punto di vista meramente semantico, l’orrenda denominazione è capace però di cogliere un indirizzo comune, un motto che non può essere confutato. Iniziò Silvio Berlusconi con Forza Italia: nessun italiano – tranne un imprevisto branco di persone vestite di verde che immagina l’Italia divisa da una «linea immaginot» – poteva dire il contrario. Infatti, ai Mondiali e agli Europei, tutti cantano «Forza Italia». Poi vi furono altri tentativi più profondi: chi si direbbe contrario alla libertà?
Questo «Vogliamo vivere» non farà mai strada, è evidente; e sembra persino ridicolo parlarne. Però da un punto di vista semantico, nella sua ridicolaggine, nella sua sfrontatezza, nella sua follia, fa un passo in più rispetto ai suoi predecessori: chi si direbbe contrario alla frase “Vogliamo vivere”?
Nessuno.
In preda al populismo potremmo dire che, in fondo, sì: qualcuno ci sarebbe. Gli operai in cassa integrazione, per esempio, gli immigrati trattati come oggetti, per dire poco, i carcerati sottoposti a regimi disumani, i giornalisti a 20 euro a pezzo, i redattori editoriali a 3 euro a cartella, gli insegnanti condannati alle supplenze eterne, i dottorandi e poi dottorati sottoposti a pubblico ludibrio eccetera eccetera eccetera. Potremmo continuare, ma già sappiamo tutto.
Il 30 aprile del 1500 la nave dell’ammiraglio Cabral sbarcò per la prima volta in terra brasiliana. Lo scrivano Pero Vaz de Caminha scrisse la relazione su questa nuova terra e la inviò al re Don Manuel. La Lettera sulla scoperta del Brasile (pubblicata nel 1992 da Sellerio) è una lettura assai interessante. A un certo punto, Caminha scrive: «Affinché diventi tutta cristiana, a questa gente non manca altro che capirci, perché apprendevano a far quello che ci vedevano fare, facendo esattamente come noi. Dal che sembrò a tutti noi che non hanno alcuna idolatria né culto. E sono certo che, se Vostra Altezza mandasse qui qualcuno che resti fra di loro più a lungo, saranno tutti condotti al volere di Vostra Altezza. E perciò, se dovesse venir qualcuno, non trascuri Vostra Altezza di mandare subito un chierico per battezzarli».
“Vogliamo vivere”, l’abbiamo detto, è una barzelletta. Per i più vendicativi, potrebbe dispiacere che Emilio Fede abbia 81 anni, e che i nostri nonni a quell’età – se sono ancora vivi – sono malridotti e stanchi da anni di fatiche e delusioni e disperazioni.
Adesso però sembra un po’ troppo che anche Emilio Fede, ancora Emilio Fede, continui a trattare gli italiani proprio come i buon selvaggi descritti da Caminha. Basta mandare un chierico, per battezzarli.