L’uomo, che poteva diventare Papa, non divideva il mondo in credenti e non-credenti ma in pensanti e non-pensanti. Aveva il dono dell’intelligenza, della fede, dell’umiltà e il coraggio della ricerca. Radicato nella Bibbia e al tempo stesso sensibile ai valori della modernità, esortava i credenti a misurarsi con la “libertà individuale e sociale, la democrazia, l’autonomia della ricerca come libertà dell’intelligenza individuale”. C’è stato un tempo, raccontava, in cui aveva sognato una “Chiesa nella povertà e nell’umiltà, che non dipende dalle potenze di questo mondo. Una Chiesa che concede spazio alla gente che pensa più in là. Una Chiesa che dà coraggio, specialmente a chi si sente piccolo o peccatore. Una Chiesa giovane”.
Oggi, confessava dopo avere varcato l’ottantina, “non ho più di questi sogni… ho deciso di pregare per la Chiesa”. A Dio domandava di non essere lasciato solo, a Gesù avrebbe voluto chiedere nel momento del trapasso “se mi ama nonostante le mie debolezze e i miei errori e se mi viene a prendere nella morte, se mi accoglierà”.
È morto, rifiutando l’accanimento terapeutico, respingendo l’idea di un corpo mantenuto artificialmente in esistenza dalla tecnologia. D’altronde, con il chirurgo cattolico e parlamentare Pd Ignazio Marino, il cardinale aveva affrontato il tema delicato della morte non procurata, ma accettata naturalmente come rifiuto del dominio della macchina sul corpo. Casi come quello di Welby, ammonì, saranno sempre più frequenti e bisognerà riflettere come trattarli. Si trattasse del testamento biologico o della comprensione per i rapporti omosessuali – lui ammetteva il “valore di un’amicizia duratura e fedele tra due persone dello stesso sesso” – si trattasse di un nuovo approccio alla fecondazione artificiale o del ruolo della donna nella Chiesa o delle coppie di fatto o della collegialità come espressione della partecipazione dei vescovi del mondo al governo della Chiesa universale, Martini irritava spesso le gerarchie ufficiali con i suoi interventi pensosi e quindi scomodi.
Poteva diventare pontefice per le sue qualità e il vasto credito di cui godeva nel mondo cattolico e tra le Chiese cristiane. Un credito, che andava ben al di là dei confini confessionali, favorito dalla grande stima che gli portavano anche ebrei e musulmani e non credenti. Ma al conclave del 2005 Martini arrivò già piegato dal Parkinson e la Chiesa cattolica non poteva permettersi due pontefici malati di seguito. In ogni caso Martini appariva troppo riformista per un conclave, che si stava orientando su una linea di difesa identitaria del cattolicesimo. Non avrebbe avuto i voti necessari. Sicché alla fine invitò i suoi seguaci a votare per Joseph Ratzinger.
Uomo di Chiesa, il porporato è stato in maniera “laica” estremamente partecipe alle convulsioni italiane. Politicamente, negli anni del berlusconismo trionfante, non si potrà scordare il suo tacito, ma chiaro contrapporsi alla linea di attivismo politico del cardinale Camillo Ruini, allora presidente della Cei. Non amava il clericalismo a copertura di fazioni politiche.
L’arcivescovo di Milano aveva il costume di intervenire periodicamente e con grande insistenza sui temi della legalità, della giustizia e della democrazia minacciata dagli interessi privati, perorando la causa di una politica per il bene comune. Contro il leghismo becero parlava di rispetto e accoglienza degli immigrati. Contro la tendenza a frantumare il Paese parlava di solidarietà. I suoi discorsi per la festa di Sant’Ambrogio era campanelli d’allarme contro il degrado del Paese. Di “Mani pulite”, evento esploso nella sua diocesi, diceva che aveva insegnato che la “disonestà non paga mai. Prima o poi si arriva a un’esplosione. Tutte le forme di appropriazione del bene pubblico, coperte o subdole, non possono durare a lungo”.
Giovanni Paolo II lo aveva lanciato, spingendo lo studioso biblista ad assumere nel 1979 la carica impegnativa di arcivescovo di Milano e facendolo cardinale nel 1983. Giovanni Paolo II lo ridimensionò. Non piaceva a Wojtyla la tranquilla carica riformista di Martini, che pure stimava. Wojtyla non accettava che la visione di Chiesa, di cui Martini era tenace portatore, potesse diventare un modello alternativo alla sua linea. Perciò, quando l’arcivescovo di Milano diventò troppo influente come presidente del Consiglio delle conferenze episcopali (cattoliche) europee, Giovanni Paolo II fece cambiare lo statuto dell’organizzazione, imponendo che potesse guidarla solo il presidente di un episcopato nazionale. Così Martini dovette lasciare il posto nel 1993. Ma il cardinale non era personalità da scoraggiarsi. Nel 1999 – durante il Sinodo internazionale dei vescovi convocato da Wojtyla per analizzare l’Europa dopo la caduta del Muro di Berlino – l’arcivescovo di Milano sorprese i suoi confratelli evocando un “sogno”. Il sogno di un nuovo Concilio, che avesse il coraggio di discutere dei problemi più spinosi: l’“ecclesiologia di comunione del Vaticano II”, la carenza già drammatica di sacerdoti, la posizione della donna nella società e nella Chiesa, la partecipazione dei laici ad alcune responsabilità ministeriali, il tema della sessualità, la disciplina cattolica del matrimonio, l’ecumenismo e i rapporti con le “Chiese sorelle dell’Ortodossia”.
Un agenda cruciale, che papa Wojtyla ieri e papa Ratzinger oggi non hanno mai voluto affrontare.
Qualche anno prima, rifacendosi espressamente all’enciclica di Giovanni Paolo II Ut unum sint sul ripensamento della funzione dei pontefici, il cardinale aveva proposto di “rimodellare” in senso ecumenico il primato papale alla luce dell’autonomie delle diverse Chiese cristiane. “Si potrebbe – mi disse in un colloquio – iniziare in modo semplice. Con una consultazione di tutte le comunità cristiane convocate dal Papa… Un tavolo in cui si affrontino i grandi problemi dell’ umanità per trovare una linea di azione al servizio dell’ uomo”. Martini era una miniera di idee riformatrici. O meglio aveva il coraggio di esprimere ciò che tanti nel mondo cattolico pensano di nascosto o avvolgono in scritti specialistici. Ma non era un esibizionista del riformismo. Era profondamente convinto del valore essenziale della preghiera, dello studio, della meditazione. A Milano creò la “cattedra dei non credenti” per dialogare con la cultura contemporanea, ma istituì anche un giorno della settimana in cattedrale dedicato al “silenzio”, affinché i giovani dell’era del chiacchiericcio imparassero a calarsi nel proprio intimo. Via maestra per incontrare Dio.
Dei suoi tanti scritti e interventi rimane viva l’idea di un Concilio fecondo di nuove riforme . E che il fatto cristiano non si misura sul suo successo di massa, ma sulla capacità di testimonianza. “La domanda è: viviamo autenticamente il Vangelo?”. Pensosamente amava sottolineare: “Non puoi rendere cattolico Dio… certamente gli uomini hanno bisogno di regole e confini… ma Dio ha il cuore sempre più largo”.
Da Il Fatto Quotidiano del 1 settembre 2012
Cronaca
Martini, l’uomo che poteva essere papa: ‘Sognavo una Chiesa giovane. Ora prego’
Paladino dei diritti civili non divideva il mondo tra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non-pensanti. Irritava le gerarchie ecclesiastiche con le sue opinioni su testamento biologico, rapporti omosessuali, fecondazione artificiale. Wojtyla prima lo lanciò, poi lo ridimensionò: non gli piaceva quella tranquilla carica riformista
L’uomo, che poteva diventare Papa, non divideva il mondo in credenti e non-credenti ma in pensanti e non-pensanti. Aveva il dono dell’intelligenza, della fede, dell’umiltà e il coraggio della ricerca. Radicato nella Bibbia e al tempo stesso sensibile ai valori della modernità, esortava i credenti a misurarsi con la “libertà individuale e sociale, la democrazia, l’autonomia della ricerca come libertà dell’intelligenza individuale”. C’è stato un tempo, raccontava, in cui aveva sognato una “Chiesa nella povertà e nell’umiltà, che non dipende dalle potenze di questo mondo. Una Chiesa che concede spazio alla gente che pensa più in là. Una Chiesa che dà coraggio, specialmente a chi si sente piccolo o peccatore. Una Chiesa giovane”.
Oggi, confessava dopo avere varcato l’ottantina, “non ho più di questi sogni… ho deciso di pregare per la Chiesa”. A Dio domandava di non essere lasciato solo, a Gesù avrebbe voluto chiedere nel momento del trapasso “se mi ama nonostante le mie debolezze e i miei errori e se mi viene a prendere nella morte, se mi accoglierà”.
È morto, rifiutando l’accanimento terapeutico, respingendo l’idea di un corpo mantenuto artificialmente in esistenza dalla tecnologia. D’altronde, con il chirurgo cattolico e parlamentare Pd Ignazio Marino, il cardinale aveva affrontato il tema delicato della morte non procurata, ma accettata naturalmente come rifiuto del dominio della macchina sul corpo. Casi come quello di Welby, ammonì, saranno sempre più frequenti e bisognerà riflettere come trattarli. Si trattasse del testamento biologico o della comprensione per i rapporti omosessuali – lui ammetteva il “valore di un’amicizia duratura e fedele tra due persone dello stesso sesso” – si trattasse di un nuovo approccio alla fecondazione artificiale o del ruolo della donna nella Chiesa o delle coppie di fatto o della collegialità come espressione della partecipazione dei vescovi del mondo al governo della Chiesa universale, Martini irritava spesso le gerarchie ufficiali con i suoi interventi pensosi e quindi scomodi.
Poteva diventare pontefice per le sue qualità e il vasto credito di cui godeva nel mondo cattolico e tra le Chiese cristiane. Un credito, che andava ben al di là dei confini confessionali, favorito dalla grande stima che gli portavano anche ebrei e musulmani e non credenti. Ma al conclave del 2005 Martini arrivò già piegato dal Parkinson e la Chiesa cattolica non poteva permettersi due pontefici malati di seguito. In ogni caso Martini appariva troppo riformista per un conclave, che si stava orientando su una linea di difesa identitaria del cattolicesimo. Non avrebbe avuto i voti necessari. Sicché alla fine invitò i suoi seguaci a votare per Joseph Ratzinger.
Uomo di Chiesa, il porporato è stato in maniera “laica” estremamente partecipe alle convulsioni italiane. Politicamente, negli anni del berlusconismo trionfante, non si potrà scordare il suo tacito, ma chiaro contrapporsi alla linea di attivismo politico del cardinale Camillo Ruini, allora presidente della Cei. Non amava il clericalismo a copertura di fazioni politiche.
L’arcivescovo di Milano aveva il costume di intervenire periodicamente e con grande insistenza sui temi della legalità, della giustizia e della democrazia minacciata dagli interessi privati, perorando la causa di una politica per il bene comune. Contro il leghismo becero parlava di rispetto e accoglienza degli immigrati. Contro la tendenza a frantumare il Paese parlava di solidarietà. I suoi discorsi per la festa di Sant’Ambrogio era campanelli d’allarme contro il degrado del Paese. Di “Mani pulite”, evento esploso nella sua diocesi, diceva che aveva insegnato che la “disonestà non paga mai. Prima o poi si arriva a un’esplosione. Tutte le forme di appropriazione del bene pubblico, coperte o subdole, non possono durare a lungo”.
Giovanni Paolo II lo aveva lanciato, spingendo lo studioso biblista ad assumere nel 1979 la carica impegnativa di arcivescovo di Milano e facendolo cardinale nel 1983. Giovanni Paolo II lo ridimensionò. Non piaceva a Wojtyla la tranquilla carica riformista di Martini, che pure stimava. Wojtyla non accettava che la visione di Chiesa, di cui Martini era tenace portatore, potesse diventare un modello alternativo alla sua linea. Perciò, quando l’arcivescovo di Milano diventò troppo influente come presidente del Consiglio delle conferenze episcopali (cattoliche) europee, Giovanni Paolo II fece cambiare lo statuto dell’organizzazione, imponendo che potesse guidarla solo il presidente di un episcopato nazionale. Così Martini dovette lasciare il posto nel 1993. Ma il cardinale non era personalità da scoraggiarsi. Nel 1999 – durante il Sinodo internazionale dei vescovi convocato da Wojtyla per analizzare l’Europa dopo la caduta del Muro di Berlino – l’arcivescovo di Milano sorprese i suoi confratelli evocando un “sogno”. Il sogno di un nuovo Concilio, che avesse il coraggio di discutere dei problemi più spinosi: l’“ecclesiologia di comunione del Vaticano II”, la carenza già drammatica di sacerdoti, la posizione della donna nella società e nella Chiesa, la partecipazione dei laici ad alcune responsabilità ministeriali, il tema della sessualità, la disciplina cattolica del matrimonio, l’ecumenismo e i rapporti con le “Chiese sorelle dell’Ortodossia”.
Un agenda cruciale, che papa Wojtyla ieri e papa Ratzinger oggi non hanno mai voluto affrontare.
Qualche anno prima, rifacendosi espressamente all’enciclica di Giovanni Paolo II Ut unum sint sul ripensamento della funzione dei pontefici, il cardinale aveva proposto di “rimodellare” in senso ecumenico il primato papale alla luce dell’autonomie delle diverse Chiese cristiane. “Si potrebbe – mi disse in un colloquio – iniziare in modo semplice. Con una consultazione di tutte le comunità cristiane convocate dal Papa… Un tavolo in cui si affrontino i grandi problemi dell’ umanità per trovare una linea di azione al servizio dell’ uomo”. Martini era una miniera di idee riformatrici. O meglio aveva il coraggio di esprimere ciò che tanti nel mondo cattolico pensano di nascosto o avvolgono in scritti specialistici. Ma non era un esibizionista del riformismo. Era profondamente convinto del valore essenziale della preghiera, dello studio, della meditazione. A Milano creò la “cattedra dei non credenti” per dialogare con la cultura contemporanea, ma istituì anche un giorno della settimana in cattedrale dedicato al “silenzio”, affinché i giovani dell’era del chiacchiericcio imparassero a calarsi nel proprio intimo. Via maestra per incontrare Dio.
Dei suoi tanti scritti e interventi rimane viva l’idea di un Concilio fecondo di nuove riforme . E che il fatto cristiano non si misura sul suo successo di massa, ma sulla capacità di testimonianza. “La domanda è: viviamo autenticamente il Vangelo?”. Pensosamente amava sottolineare: “Non puoi rendere cattolico Dio… certamente gli uomini hanno bisogno di regole e confini… ma Dio ha il cuore sempre più largo”.
Da Il Fatto Quotidiano del 1 settembre 2012
Articolo Precedente
Donna in mare, Costa salta la tappa. Guardian: ‘Carnival, record di scomparsi’
Articolo Successivo
Martini, una folla silenziosa in Duomo saluta e ringrazia il vescovo del dialogo
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione
Da Il Fatto Quotidiano in Edicola
Dopo l’ennesimo flop sui migranti in Albania, il governo ora vuole scegliersi i giudici della Corte d’Appello: Chigi studia una nuova norma
Mafie
Terre rare, petrolio e le nuove rotte internazionali: perché Trump vuole la Groenlandia. La grande corsa all’Artico, tra gli interessi cinesi e quelli delle mafie
Da Il Fatto Quotidiano in Edicola
Adriano Galliani: ‘Le donne, che inciampo! La baby-pensione? Mica so dove me la mandano’. L’intervista
Amsterdam, 3 feb. –(Adnkronos) - E' nell'ottica di una semplificazione "in linea con i cambiamenti comunicati" a dicembre al momento dell'uscita di Carlos Tavares, la riorganizzazione annunciata questa mattina da Stellantis. Un 'aggiornamento' che rafforza il ruolo delle singole regioni, accorpa ingegneria e software, rilancia su qualità e marketing e vede l'uscita di scena di alcuni top manager. Decisioni - si spiega in una nota - che "consentono il giusto equilibrio tra responsabilità regionali e globali, facilitando la rapidità delle scelte e la loro esecuzione" e "rafforzano ulteriormente l’impegno di Stellantis nell’ascoltare i propri clienti" ponendo "le basi per una rinnovata crescita".
A livello di management, Linda Jackson lascia il gruppo e al vertice del brand Peugeot è sostituita da Alain Favey. Abbandona anche Yves Bonnefont, Chief Software Office, visto che "le attività software sono ora integrate in un’organizzazione di sviluppo e tecnologia del prodotto guidata da Ned Curic allo scopo di semplificare il processo di immissione sul mercato di prodotti e servizi innovativi per tutti i brand in tutti i mercati in cui l’azienda è presente". Nuovo responsabile anche per Jeep, con la nomina di Bob Broderdorf, dal momento che Antonio Filosa - che mantiene il suo attuale ruolo di COO delle Regioni d’America - assume la leadership globale dell’ente Quality, definito "fulcro della promessa dell’azienda ai clienti".
Nuovo capo anche per DS, dal momento che Olivier François - che mantiene la responsabilità di Fiat e Abarth - guiderà un nuovo Marketing Office, per seguire meglio le attività di promozione dei singoli brand e "supportarli al meglio, in particolare attraverso la pubblicità, gli eventi globali e le sponsorizzazioni". Gli enti Corporate Affairs e Communications sono stati uniti sotto la guida di Clara Ingen-Housz e Anne Abboud è stata nominata alla guida dell’unità veicoli commerciali di Stellantis Pro One.
Come sottolinea il Chairman di Stellantis John Elkann "gli annunci di oggi semplificheranno ulteriormente la nostra organizzazione e aumenteranno la nostra agilità e il rigore dell’esecuzione a livello locale. Non vediamo l’ora di guidare la crescita fornendo ai nostri clienti una scelta ancora più ampia di straordinari veicoli a combustione, ibridi ed elettrici”. Confermata la linea sul processo di nomina del nuovo Chief Executive Officer che "è in corso, gestito da un Comitato Speciale del Consiglio d’Amministrazione, e si concluderà entro la prima metà del 2025".
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - “Siamo vicini ad Antonio Tajani, alla sua famiglia e soprattutto a suo figlio Filippo, vittima di un malore durante una partita di calcio. Gli auguriamo una pronta guarigione, e che possa tornare presto in campo”. Lo dichiarano i capigruppo della Lega alla Camera e al Senato, Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - "Esprimo il mio più profondo riconoscimento alla Brigata Sassari per il coraggio, la dedizione e l’alto senso del dovere dimostrato durante tutta la missione Unifil. Ringrazio il generale Messina, con il quale sono sempre rimasta in contatto per essere costantemente informata sullo stato del contingente. I nostri soldati hanno affrontato sfide complesse e delicate, portando avanti il nome dell’Italia con grande professionalità. Il loro impegno ha garantito la stabilità in una regione così fragile, e sono fiera di come abbiano rappresentato la nostra Nazione". Lo ha affermato la deputata di Fratelli d'Italia Barbara Polo, componente della commissione Difesa, al rientro del contingente della Brigata Sassari.
"Da sarda, -ha aggiunto- non posso che essere estremamente orgogliosa nel vedere i miei concittadini impegnati con tanto valore nelle operazioni internazionali. La Brigata Sassari è il fiore all’occhiello del nostro esercito, una realtà che continua a distinguersi per preparazione e coraggio”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - "Ci mancavano i sedicenti comitati civici che spalleggiano gli occupanti abusivi di immobili a rendere sempre più invivibile il quartiere Esquilino, uno dei più belli di Roma da tempo in mano ad immigrati clandestini e bande criminali. Ne ha fatto le spese un bravo giornalista come Luca Telese aggredito per aver difeso i presidi di legalità che dopo le denunce della Lega le istituzioni stanno predisponendo. Telese chiamato ad un’assemblea pubblica da un sedicente Polo Civico ha avuto l'ardire di affermare che cancellate di protezione dei luoghi di socialità non sono poi da demonizzare. Per difendere la possibilità di vivere in pace e nella legalità all'Esquilino di Roma, come in tutte le periferie d'Italia, è necessario che venga subito definitivamente approvato il ddl sicurezza”. Lo afferma il deputato della Lega ed ex magistrato Simonetta Matone.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - “Nella loro foga alla ricerca del complotto, di qualcuno su cui scaricare le proprie responsabilità, di uno spauracchio a cui assegnare colpe per nascondere le inadeguatezze del governo Meloni, i colleghi di Fratelli d’Italia hanno nuovamente toccato inesplorate vette di contraddizione. L’ultimo attacco frontale è stato riservato a Gimbe e al suo presidente Cartabellotta, colpevole di aver detto con dati inequivocabili che il decreto dell’Esecutivo sulle liste d’attesa è fermo al palo e che solo uno dei sei decreti attuativi è stato già approvato". Lo afferma Andrea Quartini, capogruppo del Movimento 5 Stelle in commissione Affari sociali della Camera e coordinatore del Comitato politico salute e inclusione sociale del M5S.
"Oltre a usare parole estremamente gravi nei confronti di chi porta avanti con serietà e professionalità un preziosissimo lavoro scientifico a tutela della sanità, il senatore Zaffini -aggiunge l'esponente pentastellato- ha però di fatto confermato i ritardi denunciati da Cartabellotta, sebbene secondo lui siano in realtà tempi record. Una contraddizione decisamente bizzarra. E nel frattempo, i medici di medicina generale operano come meglio credono e la proposta di Forza Italia in merito è ancora ben lontana dal concretizzarsi".
"Al presidente Cartabellotta -conclude Quartini- va tutta la mia solidarietà, visto che ultimamente è stato identificato come avversario politico, alla stregua di una forza di opposizione, come persino Bruno Vespa aveva avuto l’indecenza di dire. Questo attacco scomposto, in ogni caso, non fa che confermare la linea di questa maggioranza: è sempre colpa degli altri. Dai magistrati, a coloro che distribuiscono la benzina, fino a Gimbe”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - "Il nemico del giorno del governo è la Fondazione Gimbe e in particolare il suo presidente Nino Cartabellotta, accusato da esponenti di maggioranza di essere un bugiardo che falsifica i dati perché ‘cavalier servente’ e comunista. Affermazioni di una gravità inaudita contro un organismo indipendente e autorevole come Gimbe, che fa un grande lavoro di raccolta e verifica dei dati sanitari. La colpa di Cartabellotta? Aver fatto notare che a sei mesi dall’approvazione del decreto liste d’attesa mancano ancora cinque dei sei decreti attuativi, cosa tra l’altro confermata dalla stessa maggioranza". Lo afferma Mariolina Castellone, senatrice M5S e vicepresidente del Senato.
"Ancora una volta, questa destra cerca di trasferire su altri le colpe della propria incapacità e si produce in un costante bullismo contro professionisti che fanno il proprio lavoro, cercando di intimorirli. Per fortuna -conclude l'esponente pentastellata- ci sono i numeri a parlare e a smentire la propaganda di governo. E ci siamo noi a tutelare le voci libere e indipendenti”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - “Quello delle liste di attesa è un tema che riguarda non solo la salute ma anche la dignità della persona. Un tema che richiede senso di responsabilità e che non riscontro nelle dichiarazioni sparate a raffica da esponenti di Pd, 5 stelle e sinistra. Gli stessi che ci hanno consegnato un Servizio sanitario nazionale allo sfascio e per il quale ci stiamo adoperando per rimetterlo in sesto. Il collega Cartabellotta e la Fondazione Gimbe meritano rispetto, in quanto sono giustificati per la mancata conoscenza del lavoro che il Governo ha messo in campo sui decreti attuativi. Non posso al contrario giustificare i colleghi senatori che siedono nella commissione Sanità del Senato presieduta dal presidente Zaffini o i presidenti di Regione che prendono parte alla Conferenza Stato-Regioni". Lo afferma il senatore Ignazio Zullo, capogruppo di Fratelli d'Italia in commissione Sanità in Senato.
"Se non sanno -aggiunge- devo purtroppo arguire che dormono mentre se, come penso, sanno e attaccano il presidente Zaffini, che ha solo voluto puntualizzare il lavoro del Governo in risposta alle valutazioni della Fondazione Gimbe, è grave perché si tratta di un comportamento in grave mala fede. Si può anche non conoscere quanto si stia facendo sul tema, ma il senso di responsabilità vuole che prima di sparare a salve ci si informi e ci si documenti . In questo modo si prenderebbe facilmente atto che quanto annunciato dalla Fondazione Gimbe non è proprio puntuale perché -e lo ha spiegato bene il presidente Zaffini- la situazione riguardo ai decreti attuativi è la seguente: Criteri di funzionamento della piattaforma nazionale e regionali delle liste d’attesa: Il decreto è stato trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni. In attesa del parere della Conferenza Stato Regioni alla quale è stato inviato il 13 settembre 2024".
"Funzionamento della piattaforma nazionale di monitoraggio in coerenza con il modello di classificazione e stratificazione della popolazione, risulta ‘fatto’. Poteri sostitutivi del ministero della Salute in caso di inottemperanza delle Regioni e il rispetto agli obiettivi della legge: decreto trasmesso in Conferenza Stato-Regioni il 6 novembre 2024. Linee di indirizzo per l’attivazione dei sistemi di disdetta da parte dei Cup: il decreto è in fase di definizione da attuare con il Piano nazionale delle liste d’attesa in lavorazione predisposto dalla Direzione generale della Programmazione sanitaria già condiviso con Regioni e Mef. Metodologia per la definizione del fabbisogno di personale del Ssn (superamento tetti di spesa): il decreto è in via di ultimazione. Il Piano di azione per rafforzare i servizi sanitari e sociosanitari (nelle Regioni del Sud destinatarie dei fondi del Piano nazionale Equità e salute): decreto trasmesso alla conferenza Stato-Regioni il giorno 8 gennaio 2025".
"In questo confronto tra Zaffini e i nostri avversari politici -conclude Zullo- si può cogliere la differenza tra noi e loro: noi lavoriamo per mettere riparo agli sfasci che ci hanno lasciato in eredità, loro non sanno andare oltre l’irresponsabile e deleteria polemica sterile, dannosa dell’immagine del nostro Servizio sanitario nazionale”.