Stamattina all’alba a Roma fa quasi freddo. Prima di partire per Venezia vado a correre alla Caffarella. Nel mio percorso mi incrocio con le solite tre o quattro persone che corrono a quell’ora.
C’è anche Ben, il ragazzo tunisino che vive vicino casa mia e con cui ogni tanto parlo di cinema, da quel giorno che ha visto in internet una mia intervista. Ben ha il viso più o meno del mio stesso colore, parla bene italiano, sostiene di avere il permesso di soggiorno e di lavare i piatti in un ristorante del centro. Quando arrivo, lui ha finito di correre, perché si sta rinfrescando alla nostra fontanella. Gli faccio un cenno di saluto e comincio a correre. Oggi voglio fare dieci giri, un chilometro e cento metri per ogni giro, undici chilometri totali.
Al secondo giro vedo due poliziotti che si avvicinano alla fontanella, che chiedono i documenti a Ben. Continuo a correre, tranquillo. Al passaggio successivo Ben è sempre lì, i poliziotti stanno parlando alla radiotrasmittente. Io non ho i documenti con me, come sempre quando corro. E ho il viso più o meno dello stesso colore di Ben. Mi preoccupo, perché se la cosa butta male non posso intervenire. Continuo a correre.
E poi, a prescindere da Ben potrebbero chiedere anche a me i documenti, farmi perdere tempo e treno per Venezia. Quando ripasso dalla fontanella i poliziotti sono diventati sette, tre in divisa e quattro in borghese. Cosa avrà mai fatto Ben? O è solo per il colore del viso solo un po’ più scuro della media? Dopo due chilometri e duecento metri vedo finalmente Ben che si avvia verso l’uscita del parco. Ho finito il settimo giro. Mi fermo. Raggiungo Ben e smetto di correre. Ben mi guarda e sorride.
“Controlli, sempre controlli! Secondo loro uno come me non può venire al parco solo per correre”
Dopo poco più di un’ora sono in treno. Sono trentuno anni che almeno un giorno lo trascorro alla Mostra del cinema. Da ventotto anni lo faccio da professionista. Non mi sono ancora stancato di vedere film; di evitare le feste e gli abiti scuri; di parlare il meno possibile con le persone che ti chiedono pareri sui film visti, solo perché ti vogliono raccontare i propri; di accompagnare film quasi sempre piccoli, autonomi e sorprendenti che continuano a tenermi ai margini, senza però provocare in me scompensi; di essere orgoglioso delle cose che riesco a fare; di vergognarmi delle cose che non riesco a fare, deludendo o ferendo a volte delle persone; di ringraziare la vita che comunque ha reso lavoro una delle mie passioni, realizzando in parte i sogni di quand’ero bambino.
Stavolta, anzi, è ancora meglio. Perché davanti a me siede Ben, quello che corre, quello che domani sera tornerà a lavare i piatti, quello con cui continuerò a parlare di cinema, quello con il viso più o meno del mio stesso colore.