Il problema delle scorie radioattive è il peggior grattacapo per le nazioni nuclearizzate. In Giappone, però, il Ministero dell’Industria ha scoperto l’uovo di Colombo: non serve riprocessarle, basta seppellirle. Una scelta sconsigliata dagli scienziati, ma giustificata dal governo come un modo per scoraggiare ulteriormente l’espansione atomica nipponica. L’abbandono graduale del nucleare in Giappone, insomma, porta Tokyo a non volere “riciclare” parte delle sue 14mila tonnellate di combustibile esaurito, sotterrandole invece da qualche parte. Anche se non si sa ancora dove. Perché continuare a riciclare il combustibile nucleare, dicono i giapponesi, se il Paese ha già deciso di abbandonare gradualmente la sua dipendenza dall’energia atomica? Problemino: la legislazione nipponica non prevede il seppellimento di scorie non riprocessate.

Una questione che sta portando i ministeri dell’Industria, dell’Economia e del Commercio a presentare un disegno di legge che consenta lo smaltimento diretto dei residui nucleari esauriti. Anche se le scorie, in realtà, si possono solo “gestire”. Dopo avere sfruttato il combustibile nucleare per produrre elettricità, generalmente lo si manda al riprocessamento, procedura che permette di separarlo nelle sue principali componenti, recuperando così nuovo combustibile fissile e riducendo il volume (ma non la radioattività) del materiale di scarto. Alcuni Paesi, come gli Usa, sono contrari a questa pratica, utilizzata in origine per recuperare plutonio destinato alle armi atomiche, proprio per timore della proliferazione nucleare. Ma dà adito a molti dubbi dal punto di vista ambientale. Uno su tutti, la collocazione di queste grandi quantità di rifiuti altamente radioattivi. Soprattutto in Giappone, un Paese dall’elevata densità di popolazione, e ancora sconvolto da un’emergenza nucleare ben lungi dall’essere risolta.

Le migliaia di tonnellate di scorie atomiche giapponesi, secondo i piani dei Ministeri, verranno spedite all’impianto di riprocessamento di Rokkasho, nella prefettura di Aomori, dove si seppelliranno ed accumuleranno sia gli scarti ad alta che a bassa radioattività provenienti dalle centrali. Prima, però, bisognerà fare in modo di rendere operativa questa struttura: costata finora oltre 20 miliardi di dollari (il triplo della cifra prevista in origine), è dal 1993 che colleziona errori e rinvii, tanto che la sua piena operatività è ancora in forse, e rischia di infilare la nuova politica energetica di Tokyo in un vicolo cieco.

Dove piazzare le scorie radioattive, insomma, resta l’enigma più difficile da risolvere. Non solo in Giappone, e non solo per una questione di sindrome Nimby (“Non nel mio cortile”), ma anche perché non esistono al mondo risposte al problema del confinamento sottoterra delle scorie radioattive. Persino il Massachusetts Institute of Technology (MIT), in uno studio pubblicato due anni fa (vedi allegato pdf), ha ammesso l’assenza di un sistema efficiente e definitivo per il loro smaltimento, indicando come unica soluzione logica (per una questione sia di costi che di sicurezza) il loro mantenimento in superficie. Almeno fino al momento in cui, come promette da decenni, l’industria nucleare troverà una soluzione plausibile.

Se per gli scienziati del MIT è meglio tenere le scorie in superficie, accumulandole nei cortili degli impianti nucleari. Perché il Giappone si vuole muovere così in fretta verso il deposito geologico? Forse perché anche questa soluzione potrebbe non bastare a gestire una situazione quasi fuori controllo. Gli spazi di stoccaggio dei rifiuti radioattivi nel Paese del sol levante, infatti, raggiungeranno il limite delle loro capacità entro i prossimi quattro anni. Un tempo brevissimo, che potrebbe addirittura accorciarsi se, come recentemente deciso dal governo, i reattori nipponici continueranno o ricominceranno a funzionare.

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