Il bilancio dell'esecutivo è in chiaroscuro e vale per tutti il giudizio per il presidente del Consiglio che ha trasformato un Paese screditato in uno dei protagonisti della gestione della crisi, ma a livello interno, con le manovre di bilancio, ha aggravato la recessione con le misure per competitività e crescita rimaste solo annunci
Più bassi che alti. Il giudizio per il governo Monti a quasi un anno dal suo insediamento è poco felice. I ministri hanno avuto un bel da fare per risolvere le questioni lasciate aperte dall’esecutivo Berlusconi. Ma c’hanno messo anche del loro. Il presidente del Consiglio che ha trasformato un Paese screditato in uno dei protagonisti della gestione della crisi, ma a livello interno, con le manovre di bilancio, ha aggravato la recessione con le misure per competitività e crescita rimaste solo annunci (soprattutto quelli del ministro Passera). Invece, mentre Balduzzi (Sanità) e Severino (Giustizia) sembrano ancora balbettanti, si contraddistinguono per il lavoro silente, ma corposo il titolare degli Affari europei Enzo Moavero e quello per la Coesione territoriale Fabrizio Barca.
Così come resta sospeso il giudizio sul presidente della Repubblica: tra il piglio avuto nel trasferire da Berlusconi a Monti il potere del governo (quando quindi si è dimostrato lucido come una lama di rasoio) e l’atteggiamento contraddittorio nel conflitto di attribuzione sollevato dopo la sua fortunosa intercettazione durante una conversazione con Nicola Mancino.
Giorgio Napolitano – Presidente della Repubblica
Ha gestito con spregiudicata fermezza il necessario passaggio da Berlusconi a Monti, evitando che l’Italia si trovasse a scegliere tra il default e la richiesta di aiuti al Fmi. Unico garante della reputazione e della tenuta del Paese durante gli anni di B., sta mettendo a repentaglio la sua credibilità nel tentare con ogni mezzo di tenere segreto il contenuto delle sue telefonate con Nicola Mancino. Più preoccupato del riserbo su quelle parole che della verità sulla trattativa Stato-mafia.
Mario Monti – Presidente del Consiglio
In Europa ha trasformato un Paese screditato come l’Italia in uno dei protagonisti della gestione della crisi, il tutto grazie al prestigio individuale e al talento diplomatico. Il giudizio però è sospeso, la partita decisiva degli aiuti anti-spread non è finita. A livello interno le manovre di bilancio hanno aggravato la recessione, le misure per migliorare la competitività e favorire la crescita sono rimaste spesso a livello di annunci. Non restano molte speranze.
Enzo Moavero – Ministro per gli Affari europei
Privo anche di un portavoce, per mantenere un profilo discreto, Moavero ha garantito a Monti quel minimo di ubiquità necessaria a essere attivo sia a Roma che a Bruxelles. Mediatore costante con la Germania e con i Paesi del rigore, Moavero ha contribuito a far sembrare vittorie anche i negoziati chiusi in pareggio.
Corrado Clini – Ministro dell’Ambiente
Ministro molto attivo, ha cercato di risolvere il caso Ilva con un compromesso che salvasse la produzione e permettesse di ridurre le emissioni della fabbrica. Non ha funzionato, l’azienda non ha soldi e volontà per ridurre l’inquinamento, i giudici insisteranno per fermare gli altoforni. Per ora è un mezzo flop.
Francesco Profumo – Ministro dell’Istruzione
Ha sempre detto di non avere il tempo e il mandato per una vera riforma dell’istruzione, la sua più limitata ambizione è di “oliare i meccanismi”. Finora ha soprattutto gestito l’eredità della Gelmini. Ma la decisione di bandire due nuovi concorsi per insegnanti e, per il futuro, di abolire le graduatorie è almeno un segnale di rottura con il passato. Nel breve periodo ci saranno 55mi-la insegnanti di ruolo in più e si eviterà di formare nuove liste di attesa che premiano più l’anzianità di precariato che il merito.
Respinto con perdite. La sua riforma della sanità, centrata sui medici di famiglia, sembra davvero una rivoluzione. Ma dopo una presentazione roboante, si è subito arenata per i problemi di copertura finanziaria. Dopo mesi di annunci spot, quello che si ricorda è soprattutto la posizione incerta sul caso Ilva, con l’infelice battuta “anche perdere il posto di lavoro può far ammalare”. La scelta di lasciare Taranto al ministro dell’Ambiente è parsa un’abdicazione.
Bisogna riconoscere che Elsa Fornero ha fatto quello che aveva promesso: una riforma delle pensioni e una del lavoro. Però ha dimenticato di conteggiare quasi 400mila esodati, che rischiano di restare senza pensione e senza lavoro. E alleggerire l’articolo 18, spalmando gli ammortizzatori sociali su più persone ma per un tempo minore, finora non pare aver reso l’Italia più attraente per gli investitori stranieri.
Il ruolo non era dei più semplici. Il tema della “giustizia” è stato il campo di battaglia tra i berluscones e gli oppositori da alcuni lustri. Lei aveva iniziato con dichiarazioni prudenti: aveva parlato di efficienza e di affrontare la grande questione della carceri. I risultati in cascina, per adesso, sono scarsi. Ferme nel guado parlamentare le due riforme di maggior peso: la riduzione del numero dei tribunali e l’anticorruzione, sulla quale il Pdl fa le barricate.
In teoria non ha un euro da spendere. Ma il ministro Barca è il massimo esperto europeo nella gestione dei fondi comunitari e quindi si è impegnato a rimediare al terribile primato italico: riusciamo a usare soltanto il 9 per cento dei fondi europei assegnati, soprattutto alle Regioni del Mezzogiorno. Barca ha imposto trasparenza e fissato obiettivi e scadenze chiare, così da misurare se e come vengono impiegate le risorse. Ha riprogrammato, cioè cambiato destinazione, miliardi di euro per assicurarsi che arrivassero sul territorio nel momento peggiore della crisi. Aveva promesso che i risultati si sarebbero percepiti dopo l’estate. Siamo in attesa. Ha anche seguito con particolare impegno la ricostruzione de L’Aquila e la gestione del sito di Pompei.
Indifferente alle inchieste giudiziare su di lui (per aver avallato una frode fiscale) e sulla gestione di Banca Intesa quando ne era a capo (per riciclaggio in Lussemburgo), Passera è sempre roboante nelle interviste ai giornali ma poco concreto da ministro. Ha velocizzato l’uso dei fondi per le infrastrutture, facendo arrivare a molte opere i soldi promessi da Berlusconi e mai erogati. Ha anche riformato un po’ gli incentivi energetici alle rinnovabili, riducendo gli enormi sprechi del settore. Ma ha soltanto congelato la questione delle frequenze digitali, senza risolverla del tutto dopo aver evitato il gran regalo a Mediaset e Rai. E sul suo campo specifico, la crescita economica, si vede ben poco. I provvedimenti del governo valgono decine di miliardi soltanto nelle interviste del ministro. Intanto il Pil va a -2,5.
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Da Il Fatto Quotidiano del 2 settembre 2012