Il sindaco Piercarlo Fabbio indossa la fascia tricolore, siede accanto alla bandiera della Repubblica. Legge, si assopisce e sogna. Il senatore Teresio Borsalino (quello dei cappelli), l’alessandrino illustre per eccellenza, ha appena letto su La Stampa di “ampliamento della rete fognaria” e di “costruzione del ponte Meyer sul Tanaro”. Vuole saperne di più, telefona a Fabbio e lo invita per un tè. I due chiacchierano amabilmente in dialetto mandrogno fino a che l’alessandrino illustre ammonisce bonariamente: “Sindaco, tu non puoi offuscare la mia immagine”. Fine del sogno, Fabbio si alza ed entra nella sala dove lo aspettano le autorità per i tradizionali auguri di Natale. Il video s’intitola “Dialogo impossibile tra il senatore Borsalino e il sindaco Fabbio”, è stato realmente proiettato nel 2011 alle autorità che attendevano gli auguri ed è la sintesi perfetta del disastro che sta vivendo la terza città del Piemonte: un misto di megalomania, humour da bagaglino e inquietante leggerezza.
LEGGEREZZA che, unita a una buona dose di finanza creativa, al consueto coté di sprechi clientelari e a una galleria di amministratori pubblici politicamente border line, ha provocato il dissesto finanziario della città di Alessandria, certificato dalla Corte dei conti del Piemonte lo scorso 27 giugno. Fabbio, sindaco Pdl per cinque anni, è stato rinviato a giudizio assieme all’ex assessore al bilancio e all’ex ragioniere capo del Comune per truffa ai danni dello Stato ed è sotto procedimento della Procura della Corte dei conti per danno erariale, ma tutto questo non gli ha impedito di ripresentarsi alle elezioni di maggio e di raggiungere addirittura il ballottaggio, pur perdendo miseramente (67 a 32) contro Maria Rita Rossa del Pd.
Parlando del buco di (almeno) 100 milioni ereditato dal suo predecessore, il sindaco non sa se ridere o piangere: “Perché fossero almeno debiti per investimento – racconta – purtroppo è tutta spesa corrente”. A chiedere qualche esempio c’è l’imbarazzo della scelta: “Nel 2011 hanno speso 500mila euro in rose e 90mila euro in orchidee. Però non le hanno acquistate dai floricoltori della zona, sono andati a prenderle in Moldavia”. Il motivo sfugge, anche se – come racconta un dirigente comunale – una delegazione di consiglieri e assessori ha colto l’occasione per un bel viaggio in Moldavia, forse per controllare la qualità delle rose. “Per non parlare – prosegue Rossa – del viaggio a Roma in jet privato in occasione della nomina a cardinale del vescovo di Alessandria, della biennale della fotografia costata 750mila euro che ha incassato una miseria o dei numerosi video promozionali, come quello di Borsalino, messi in bilancio alla voce comunicazione istituzionale. E poi un tartufo da 12mila euro regalato a Berlusconi, per finire con le 34 assunzioni in Ama (l’azienda raccolta rifiuti, ndr) fatte a pochi mesi dalle elezioni per chiamata diretta su cui ora indaga la magistratura”.
Gestione allegra del denaro pubblico e scelte politiche scellerate, come la vendita delle farmacie comunali, acquistate da un imprenditore per 14 milioni di euro: “Peccato che l’imprenditore non avesse i soldi – racconta il sindaco – e abbia acceso un mutuo. Poi è rientrato in società con il Comune e oggi noi paghiamo il 20 per cento degli interessi di quel mutuo”. O del buco da 6 milioni delle due società pubbliche di cartolarizzazione, che hanno perso un sacco di soldi perché gli immobili che hanno venduto hanno reso molto meno di quanto previsto. Alla fine il Comune incassava in media ogni anno 87 milioni e ne spendeva oltre 105, ma il debito veniva nascosto semplicemente cancellando le voci di spesa dal bilancio, un po’ come gli studenti che cancellano i voti presi a scuola.
VIEN DA RIDERE, ma i quasi centomila abitanti di Alessandria non ne hanno nessuna voglia. Il nuovo Consiglio comunale, il 9 agosto, è stato obbligato a deliberare l’aumento di tutte le tariffe: tasse e imposte al massimo, Imu al 100%, asili e materne al 36% della copertura del costo, il massimo consentito dalla legge: “Non si poteva fare altrimenti – racconta un dirigente comunale – in questo momento in cassa abbiamo 600mila euro ed è grasso che cola. Per alcuni mesi abbiamo avuto a disposizione 0,19 euro. Sì, 19 centesimi, neanche un sorso di caffè al bar”. Il sindaco, in teoria, ha le mani legate e non può spendere un euro causa sforamento del patto di stabilità e procedura di dissesto: “Per poter pagare 500 dipendenti di tre municipalizzate – racconta – ho ottenuto con fatica dal prefetto e dal ministero l’autorizzazione a utilizzare in via straordinaria fondi già vincolati. Ma basteranno solo per un mese. Dopo?”.
Alessandria ora attende i commissari del governo, che saranno probabilmente nominati domani. Dovranno accertare la reale entità del buco e procedere al pagamento dei creditori. Non sarà facile far convivere le esigenze di bilancio con quelle di equità sociale: “Il pareggio di bilancio subito – conclude il sindaco – è una macelleria sociale che non ci possiamo permettere, la normativa così com’è ha delle criticità evidenti. Prima bisogna pagare i lavoratori, poi i crediti con le banche, magari rinegoziando i mutui. Ho telefonato a Monti, ho chiamato Napolitano, attendo risposte”. Sembra Grecia, invece è solo Piemonte.