“Pietro era il più capace nei comizi. Davanti a un microfono, come un attore consumato, usa ancora perfettamente l’arte della pause, degli sguardi, l’oratoria come comunicazione di stato d’animo e sentimenti”. Lo spiega il ferrararese Filippo Vendemmiati, il 52 enne giornalista Rai che dopo E’ stato morto un ragazzo, il documentario sull’omicidio di Federico Aldrovandi (David di Donatello 2011), rievoca un suo intimo e sincero sentimento prendendoci gusto a riannodare i fili della memoria attorno alla storica figura di Pietro Ingrao.
Non mi avete convinto, nella sezione Giornate degli Autori alla Mostra del Cinema di Venezia, è il racconto in prima persona del leader comunista che ha inteso la politica come passione attraversando gioie e dolori del Novecento. Un’unica lunga intervista da gennaio a giugno 2012 con l’alternarsi della sua voce di oggi e di decine di discorsi pubblici ed interventi in convegni. La laboriosa ricerca d’archivio ha rintracciato il 97enne di Latina in occasioni inedite: lo straordinario discorso del maggio 1979 da Presidente della Camera in occasione del quinto anniversario della strage di Piazza della Loggia a Brescia (“non un comizio, ma una lezione di storia”, dice Vendemmiati); l’intervento del 1968 in Piazza della Signoria a Firenze; la conferenza di fronte a migliaia di giovani al Firenze Social Forum nel novembre 2002; o ancora una dotta lezione di letteratura su Leopardi a Recanati nel febbraio 1988.
“Ho scritto un racconto”, spiega il regista, “senza nessuna pretesa storica: mi premeva di più quel vivere la politica, quel non poterne fare a meno. Perchè come dice Ingrao ‘ciò che mi ha spinto non è stato soltanto il dolore fisico di vedere la sofferenza altrui, ma un bisogno mio di raggiungere il sogno’. Ci siamo incontrati lungo questa strada, vedendo il film mi piacerebbe che anche altri si unissero al viaggio”.
“Se con E’ stato morto un ragazzo ho fatto i conti col mio mestiere di giornalista, perchè Federico in qualche modo è stato uccisio anche dalla superficialità e il disinteresse dei mezzi d’informazione”, continua Vendemmiati, “con Non mi avete convinto mi sono misurato con utopie superate dai tempi e ora rigenerate da chi – pur vicino ai 100 anni – non ha mai smesso di crederci”.
Sempre alle Giornate degli Autori è tutto esaurito per Acciaio, il lungometraggio del ravennate acquisito Stefano Mordini, tratto dal libro dell’altrettanto bolognese acquisita Silvia Avallone. Storia di Anna e Francesca, all’ultima estate prima del liceo in quel di Piombino alla fine del secolo scorso; di Alessio (Michele Riondino), fratello di Anna, operaio senza ambizioni, attaccato ai valori della fabbrica, ambito da mezza città; infine di Elena (Vittoria Puccini), la ragazza che Alessio ha perduto e che continua a sognare. Sullo sfondo la deturpazione ambientale ed urbana, materiale e culturale dell’altoforno e dell’acciaieria: fatica e dolore fisico di una classe operaia per default, senza più paradisi in cui finire.
Mordini con la sua macchina da presa si appiccica addosso alle due giovani protagoniste restituendo quella morbosa prurigine che già la Avallone era riuscita a creare sulla carta: “L’adolescenza è un’età potenziale appunta la Avallone all’inizio del suo romanzo”, racconta il regista, “e insieme a lei, che come uno stalker ci ha accompagnato dentro la “zona”, abbiamo intrapreso questo viaggio. Ricordi d’adolescenza, racconti degli amici che a diciotto anni dalle aule delle scuole tecniche vengono proiettati direttamente in fabbrica senza aver conosciuto il resto del mondo”.
Anche se Acciaio riesce a condensare, con questa sua angolazione di sguardo perennemente trasversale, anche tutta la forza ineludibile e preponderante del gigante innaturale della fabbrica: “Quando ho scritto il romanzo due anni fa”, ha spiegato l’Avallone, “sembrava che il lavoro, gli operai non esistessero, nessuno li raccontava, oggi sono in primo piano. E’ tardi, ma li stiamo raccontando”.