Seline, 33 anni, ha studiato in Francia, fatto il dottorato in Italia e ora vive in Olanda. Borse di studio e assegni consentono flessibilità, ma è più difficile "raccogliere i frutti del tuo lavoro". A differenza del Belpaese, in altri stati le istituzioni 'usano' i ricercatori per consulenze e "aiutano a scrivere dei testi di legge nei settori di loro competenza"
Negli ultimi cinque anni ha cambiato tre università, tre case, tre città. Ora Seline Trevisanut (nella foto insieme al fidanzato nella loro casa ad Amsterdam), 33 anni e una carriera accademica in diritto internazionale, vive in Olanda e segue un progetto di ricerca al “Netherlands Institute for the law of the sea”, grazie a una borsa di studio europea Marie Curie Fellow. Aveva vissuto in Francia gli anni dell’infanzia, e ha scelto di tornarci per studiare giurisprudenza alla Sorbona di Parigi. Abituata a lavorare per mantenersi gli studi, Seline era tornata nuovamente in Italia per il dottorato. Sul mondo dell’università ha da dire la sua: “Non posso dire che il baronaggio non esista, in Italia come all’estero, e avere un nome importante a volte aiuta. Però magari trovi la commissione onesta e passi tu, succede anche questo. Io posso ritenermi fortunata, nella mia carriera ho incontrato anche persone che investivano su chi non ha legami di sangue o politici con l’ambiente”.
Dopo il dottorato, Seline ha messo a punto una collezione di assegni di ricerca, iniziando ad insegnare giovanissima. “La prima volta che ho tenuto un corso ero nervosissima. Si trattava di un laboratorio applicativo in francese sull’immigrazione irregolare nel diritto internazionale e nel diritto dell’unione europea all’università di Trento. Avevo 28 anni, ero terrorizzata dall’idea di annoiare gli studenti e avevo il timore di non essere abbastanza autorevole. Alle fine sei così giovane che se incontri gli studenti al bar ti viene spontaneo berti una birra con loro”. Pochi mesi fa, la scelta di trasferirsi. In parte perché le prospettive in Italia non erano rosee, e in parte per un altro, valido motivo: “Io e Ingo ci siamo conosciuti in biblioteca, in Germania. Facciamo lo stesso lavoro e per 5 anni abbiamo avuto una relazione a distanza”. Il fatto che entrambi si spostassero frequentemente non è andato solo a loro sfavore: “La cosa comoda del nostro lavoro è la sua flessibilità: per farlo bastano un pc, una connessione e una biblioteca vicina. Poi, per esempio, siamo stati insieme quando lui era a lavorare a New York per un anno ed io ho avuto la possibilità di andare per sei mesi alla Columbia University per un progetto”. Ora, miracolosamente, hanno trovato entrambi lavoro in Olanda per due anni. E forse stare fermi per un po’ non farà male.
“L’incertezza della prospettiva pesa, – confessa Seline – e il fatto di cambiare spesso ti arricchisce, ma è anche un dispendio di energie non indifferente. Quando trasloco, ci metto sempre un po’ a ritrovare il mio ritmo nella scrittura, la concentrazione. Poi c’è da conoscere il nuovo ambiente, i colleghi, il loro modo di lavorare”. Aggiunge ridendo: “Purtroppo, in tutti gli anni in cui ho insegnato non ho mai potuto rifare due volte lo stesso corso. Non avere la possibilità di ripetersi è un po’ frustrante, non puoi raccogliere i frutti del tuo lavoro”. L’Olanda sta regalando a Seline una bella possibilità: “Sono fortunata ad avere questo finanziamento, uno stipendio più che decente, un pc e un ufficio tutto mio. E pensare che purtroppo in Italia siamo abituati a non avere il toner per la stampante in università. L’altra differenza che sento rispetto al nostro paese è il dialogo fra istituzioni e università. Qui il governo usa i ricercatori per le consulenze, una cosa che da una parte aiuta i governanti a scrivere dei testi di legge che rispecchino maggiormente lo stato dell’arte in un determinato settore, e dall’altro aiuta chi lavora in università a non essere completamente slegato dalla realtà”. L’ipotesi di tornare in Italia non è comunque da escludere. Seline ha fatto domanda per l’abilitazione nazionale a ruolo di professore associato. “Vorrei continuare a rimanere nell’università, se possibile. La ricerca e l’insegnamento mi soddisfano molto, e credo di aver sviluppato una mia professionalità negli anni. Mi spiacerebbe buttare tutto all’aria. Comunque è ancora da vedere, per ora siamo qui. Fra due anni ne riparliamo”.