Il dibattito politico degli ultimi anni ha un convitato di pietra: i conflitti di interesse. Per anni ci si è giustamente concentrati sul conflitto per eccellenza, quello che ha permesso al Presidente del Consiglio di uno stato democratico di influenzare, attraverso l’attività di editore, la qualità dell’informazione italiana.
Meno efficace è stato concentrare tutti gli sforzi a favore di una regolazione di questo conflitto immaginando che quest’ultimo fosse un problema esclusivo di Silvio Berlusconi.
Il prossimo Presidente del Consiglio, chiunque egli sia, potrà infatti godere dello stesso margine discrezionale di cui ha goduto il proprietario di Mediaset. Chiunque oggi annunci di voler rinunciare a cariche, compensi, ruoli di responsabilità diretti e indiretti legati alle proprie attività e interessi privati per ricoprire incarichi pubblici, giurando di essere “fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della nazione” lo fa non perché strettamente obbligato, ma per semplici ragioni di opportunità politica.
Quando al governo c’è stato il centrodestra non si è intervenuti in questo senso. Difficile aspettarsi qualcosa di diverso. Ma neanche il centrosinistra, quando ha potuto, non ha legiferato. Per questo motivo è ragionevole parlare di conflitti di interessi, intesi non più al singolare.
Oggi il clima politico è diverso. E sarebbe opportuno che il convitato di pietra smetta di esserlo.
La campagna di stampa del settimanale Panorama sui contenuti delle telefonate tra il Presidente della Repubblica Napolitano e il Senatore Mancino in merito alla presunta trattativa Stato-Mafia, costruita attorno a illazioni senza prove su elementi già esclusi dall’indagine in corso è apparsa a molti osservatori, a partire proprio dal Quirinale come un tentativo di ‘ricatto’.
La nota del Colle successiva alla pubblicazione dell’articolo di Panorama ha attivato subito la solidarietà delle principali istituzioni italiane, tra cui il Presidente del Consiglio e i Presidenti delle Camere, oltre a tutti i leader politici nazionali che all’unisono respingono ogni forma di pressione indebita verso il Capo dello Stato.
Mi sono chiesto perché Panorama abbia deciso di pubblicare una notizia (ammesso che sia tale) sulla prima carica dello Stato senza lo straccio di una prova. Può uno dei più importanti settimanali italiani correre un rischio del genere? Può mettere in gioco la sua credibilità in modo così plateale?
A queste domande non ho una risposta precisa ma ho un dubbio. Può essere che Panorama, settimanale del gruppo editoriale di proprietà della famiglia Berlusconi, e i giornalisti che ci lavorano, sia stato volutamente utilizzato come strumento politico per creare un clima favorevole a una riforma della disciplina sulle intercettazioni telefoniche in senso restrittivo?
Può essere che Panorama, lasciando trapelare informazioni non vere e potenzialmente esplosive dal punto di vista del futuro politico del nostro Paese, a poche settimane dall’inizio del semestre bianco con cui si chiude il mandato di Giorgio Napolitano e in un momento di profonda fibrillazione sia in vista delle elezioni politiche sia a causa della drammatica situazione economica italiana e internazionale, provi a condizionare i prossimi passi della sua Presidenza e a intervenire, attraverso falsità, sul dibattito in corso sulle riforme dell’architettura istituzionale?
Mi pongo queste due questioni perché le dichiarazioni del segretario del Pdl Alfano (“Siamo stati contro ogni abuso delle intercettazioni e della loro pubblicazione sin da quando a subirle è stato Berlusconi”) e del capogruppo del Pdl Cicchitto (“È assolutamente indispensabile regolare le intercettazioni per legge”) nelle ore immediatamente successive alla nota del Quirinale di ieri lasciano intendere proprio questo.
A queste due domande ne voglio aggiungere altre due: può essere verosimile che l’editore di Panorama, Marina Berlusconi, non abbia messo al corrente suo padre, il presidente del Pdl Silvio, della volontà del settimanale di costruire una campagna di stampa simile senza che quest’ultimo, in nome del “rapporto consolidato e leale” con Napolitano di cui l’ex-Premier ha parlato al Foglio nello scorso weekend, non abbia chiesto ulteriori verifiche?
E può essere verosimile che, in assenza di queste ultime, non abbia esercitato le sue prerogative di editore chiedendo a Panorama di non diffondere notizie senza fondamento mettendo a rischio la credibilità del giornale di proprietà della famiglia (con possibili rischi economici diretti per il gruppo editoriale e, dunque, per se stesso)?
Le forze politiche che hanno manifestato solidarietà al Colle hanno un’opportunità irripetibile di passare dalle attestazioni alle azioni sollecitando un’iniziativa politica che regoli i conflitti di interessi tra interessi politici e privati. In questo modo gli italiani, e in primo luogo proprio Napolitano, sarebbero certi che una campagna di stampa (anche la più discutibile) è solo una campagna di stampa e che una dichiarazione politica è solo una dichiarazione politica. Se la solidarietà non è solo un esercizio retorico, saranno ben contente di proteggere il Presidente della Repubblica da ogni forma di ricatto.
Sono inoltre convinto che separare in modo netto e definitivo politica e interessi privati, regolandoli in modo univico (ad esempio, rendendo pubblici la lista dei finanziatori privati di persone e partiti) permetterebbe di riconquistare credibilità e indipendenza sia alla politica sia al sistema imprenditoriale (in questo caso editoriale) del nostro Paese.