Il regista piacentino porta il suo nuovo film sul caso Englaro in Concorso al Lido ed è subito in corsa per un possibile premio. "Mi ha colpito la scelta del cardinale Martini: era materialmente contro l'accanimento terapeutico ma non ha mai perduto la sua fede assoluta"
“Viviamo in uno stato di dormiveglia. Questo ho voluto rappresentare. Bella addormentata in questo momento è soprattutto l’Italia”. Parole di Marco Bellocchio, regista di “Bella addormentata”, il film più atteso in Concorso alla 69esima Mostra del Cinema di Venezia. Cinema che parla da solo, sullo schermo e sfiora i temi dell’eutanasia, del cattolicesimo, della politica italiana, dei rapporti tra uomo e donna.
E nei centodieci minuti di “Bella addormentata” c’è soprattutto il caso di Eluana Englaro. Ispirazione sì, ma trama tattile, visibile, ascoltabile da inizio a fine pellicola, con la concitazione dei Tg che sparano minuto dopo minuto quei drammatici giorni di inizio febbraio 2009, quando un ambulanza che trasporta la Englaro lascia la casa di cura Talamoni di Lecco giungendo presso la residenza sanitaria assistenziale “La Quiete” di Udine che si era dichiarata disponibile ad ospitare la ragazza per l’attuazione della sentenza di sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione forzata.
“Sono stato aggredito e coinvolto da quello che vedevo e ascoltavo in televisione”, ha spiegato Bellocchio accolto da un’ovazione nella sala stampa del Festival di Venezia, “Per reazione sono nate alcune immagini, poi personaggi, infine la sceneggiatura. Ad ogni modo non è un film a tesi, non voglio affermare principi. Questo è un film su diversi risvegli e alcuni non risvegli. Eluana è uno spunto narrativo, ma non per creare una divagazione ideologica o compiacente. Senza un’Eluana che muore non ci sarebbe Bella addormentata che si risveglia”.
Il regista piacentino mescola suggestioni sull’adolescenza, la famiglia, l’educazione cattolica, il compromesso della politica, i principi morali, l’importanza della coerenza alle proprie idee in un unico impianto drammaturgico composto da quattro storie con pari peso narrativo, legate da un sottile filo di consequenzialità temporale, nonostante il montaggio le mescoli di continuo.
Così, tra il rapporto d’amore casuale tra Maria (Alba Rohrwacher), recatasi ad Udine per supportare la protesta pro-vita all’esterno della clinica, e Roberto (Michele Riondino), lì al contrario per sostenere la libera scelta della famiglia Englaro; la grande madre (Isabelle Huppert), una donna che vive lo stesso dramma degli Englaro ma con una fede incrollabile nel cattolicesimo; un medico (Piergiorgio Bellocchio) che salva più volte una tossicodipendente (Maya Sansa); spicca la figura di Uliano Beffardi (un sempre superbo Toni Servillo), papà di Maria, senatore ex socialista ora nel Popolo delle Libertà, che viene chiamato all’ordine dal partito per votare il disegno di legge del governo Berlusconi per impedire la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione dei pazienti in stato vegetativo.
Beffardi però si mette per traverso. E da ex o forse ancora da attuale laico vuole votare diversamente dal suo partito, proprio quando Berlusconi passa davanti alle telecamere e dichiara che per le condizioni di salute in cui si trova “Eluana Englaro potrebbe anche avere un figlio”. Ne segue un divertente e continuo dialogo con un surreale psicologo dei senatori (anche qui un Roberto Herlitzka in stato di grazia) dove vengono demoliti comicamente i parlamentari italiani e le loro bassezze, ma anche scoperto un particolare del passato di Beffardi: ha aiutato la moglie malata a morire mentre era in ospedale.
“Un artista deve essere libero di immaginare, raccontare e rappresentare quello che gli pare e come gli pare”, prosegue Bellocchio, “per esempio sono rimasto molto colpito dalla presa di posizione del cardinale Martini: pur non avendo messo in discussione la sua fede assoluta, allo stesso tempo ha chiesto la sedazione per paura di non morire soffocato ed era materialmente contro l’accanimento terapeutico”.
E a chi gli rivolge critiche sull’ eccessiva “italianità” del racconto risponde: “Non credo che questo problema esista. Ho abbozzato i politici italiani ma non volevo avere un atteggiamento di disprezzo. Semmai volevo cogliere questa loro disperazione inconsapevole, questo smarrimento e sbandamento, una disumanità patologica che penso stiano vivendo. Il potere è qualcosa di inguaribile e in fondo le istituzioni non riescono a dare risposte ai problemi dell’uomo che solo nella coscienza del singolo riesce a trovare”.