La situazione però è drammatica perché le lavoratrici, esattamente 64 donne e 4 uomini tutti specializzati (e tanti diplomati) in lavori di sartoria, cucitura e confezionamento dei capi di abbigliamento, avanzano ancora lo stipendio di luglio, mese in cui l’azienda ha chiesto loro grandi sforzi per ultimare una commessa importante: qualche migliaio di giacche da uomo che dovevano essere pronte alla svelta, ordinate dal loro principale committente, la prestigiosa sartoria Raffaele Caruso di Soragna (Parma), 600 addetti, uno show room in via Monte Napoleone a Milano e l’ambizione di una joint venture con aziende cinesi per far partire il primo brand di lusso made in Italy in Cina.
Le dipendenti dell’azienda padovana per riuscire a consegnare in tempo le giacche hanno rinunciato – su precisa richiesta dei titolari – a una settimana di ferie e hanno lavorato tutti i sabati sommando numerose ore di straordinario. Alla fine di luglio però arriva la doccia fredda: niente busta paga , pagamenti sospesi per tutte. “Ci hanno spiegato che la ditta di Parma era indietro con due fatture e quindi non avevano i soldi per darci gli stipendi” racconta Maria Laura Ferretto “il nostro titolare è andato più volte a Parma e non l’hanno nemmeno ricevuto”.
Al ritorno dalle ferie un’altra brutta sorpresa: i macchinari sono fermi, la corrente elettrica è stata sospesa perché l’azienda non ha pagato le bollette. A quel punto la sartoria Caruso annuncia l’intenzione di interrompere tutte le commesse alla Icb, e venerdì manda una camion per caricare l’ultimo migliaio di giacche confezionate dalla ditta di Legnaro. Le lavoratrici però impediscono il carico e la partenza del camion. “Sono rimaste alla Icb 850 giacche ordinate da Parma – racconta Maristella Viola delegata della Cgil – ma abbiamo capito che se le consegniamo le dipendenti non rivedranno mai più i soldi”. Scatta così l’idea del presidio in azienda, dove le dipendenti distribuite in tre turni staranno giorno e notte tra le macchine con cui hanno cucito capi di alta sartoria per Armani e Dolce e Gabbana.
A sostenerle arrivano a tutte le ore i mariti, che spesso dormono con loro per motivi di sicurezza. “Abbiamo due figli piccoli e il mio compagno è in cassa integrazione” racconta una. “Tanti del paese che hanno saputo che siamo qui ci portano una torta” dice Nadia Dante, a un passo dalla pensione prima che arrivasse la riforma Fornero. Qualcuno arriva con un sacchetto pieno di bibite, e poi ci sono i figli che fanno la spola da casa per portare coperte e un po’ di cibo, o anche solo per abbracciare la mamma (tante sono ragazze giovani e hanno figli piccoli). “Si gioca a carte, ci sono momenti in cui si ride e altri di disperazione pura, quando qualcuna di noi si mette a piangere” racconta Tania, 20 anni. Ha appena chiesto un prestito per pagare la macchina, ora ha paura di non farcela a restituirlo. “Continueremo l’occupazione fino a quando avremo certezza del nostro stipendio” dicono tutte.
Domani è convocato in Provincia un appuntamento con l’assessore provinciale al lavoro, la proprietà della Icb e dell’azienda committente “anche se non ci aspettiamo soluzioni definitive” dice Viola. Nella stessa zona, racconta, ci sono almeno una decina di altre aziende tessili in gravissime difficoltà. Settembre sarà il mese del redde rationem anche per loro.
Il Fatto Quotidiano, 5 settembre 2012