E' stato fermato con documenti falsi all'aeroporto di Otopeni, nel sud del Paese, dove era sbarcato con un volo proveniente da Zurigo, la sua attuale residenza. La sua storia giudiziaria fatta di mezze verità e grandi invenzioni
È di nuovo in manette Elio Ciolini, l’uomo conosciuto per essere stato al centro di uno dei più clamorosi depistaggi sulla strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 e sulla scomparsa a Beirut dei due giornalisti italiani Graziella De Palo e Italo Toni, spariti il 2 settembre sempre di quell’anno. Ma nel 1992, in corrispondenza dell’omicidio del potente politico democristiano Salvo Lima, un fedelissimo in Sicilia della corrente di Giulio Andreotti, Ciolini aveva fatto arrivare al giudice istruttore bolognese Leonardo Grassi una lettera in cui annunciava la stagione stragista di quell’anno “prevedendo” delitti che si verificarono fino a luglio, quando il 19 fu assassinato Paolo Borsellino. Una vicenda che fece discutere ai tempi, per quanto la “previsione” fosse stata bollata come inattendibile perché frutto di un “pataccaro” (definizione di Andreotti e di Claudio Martelli, altra “vittima” dei suoi depistaggi).
Stavolta ad arrestarlo sono state le autorità romene perché, proveniente dalla Svizzera, suo Paese d’elezione da sempre, aveva tentato di entrare dall’aeroporto di Otopeni con documenti falsi. Il primo sito a darne notizia è stato il romeno HotNews.ro e la notizia, attraverso il quotidiano Evenimentul Zilei, è presto stata rimbalzata anche altrove.
Al momento Ciolini, nato a Firenze il 18 agosto 1946 e indicato vicino ai servizi di diversi Paesi, è a Bucarest ed è già stato interrogato dai magistrati della capitale romena, che hanno formulato anche le accuse di ricettazione e manipolazione del mercato e che stanno valutando la possibilità di estradarlo in Italia, dove negli ultimi anni era stato al centro di inchieste per il tentativo di vendere titoli di Stato americani falsi e per altre indagini di tipo finanziario. Ma agli annali della cronaca giudiziaria, Ciolini ci è passato per il depistaggio alle indagini sulla strage che uccise a Bologna 85 persone e ne ferì 200.
Accadde alla fine del 1981 quando era detenuto nel carcere elvetico di Champ Dollon, lo stesso da cui nell’agosto 1983 sarebbe evaso Licio Gelli, il venerabile maestro della loggia P2. Dietro le sbarre Ciolini c’era perché era stato accusato di truffa ai danni di una cittadina statunitense residente in Svizzera e in quelle settimane scrisse al diplomatico Mor a Ginevra per chiedere di essere messo in contatto con le autorità giudiziarie italiane: aveva – affermò – una serie di dichiarazioni da fare su Bologna.
In quegli anni, per quanto la pista nera imboccata dagli investigatori emiliani fosse già nel pieno, non erano ancora così chiari i depistaggi dei servizi militari italiani e della P2 verso l’estero. E proprio a loro si agganciava Ciolini quando iniziò a parlare con i magistrati: secondo lui, per trovare i responsabili, occorreva frugare all’estero e disse che la strage di Bologna era stata la conseguenza di un’opera di distrazione di massa. Da che cosa? Da eventi vari, come la cessione di una quota della Montedison a una misteriosa entità per la quale sarebbe intervenuti membri della Commissione Trilaterale (gruppo fondato da David Rockfeller che comprendeva Stati Uniti, Europa e Giappone). Non pago, Ciolini disse anche che la “committenza” della strage sarebbe passata attraverso una loggia massonica con sede a Montecarlo, in raccordo alla P2, che decise di agire dopo una riunione di vertice avvenuta l’11 aprile 1980. La manovalanza era della “Organizzazione terroristica”, popolata – anche questo sarà falso – da personaggi provenienti dall’estrema destra, come Stefano Delle Chiaie di Avanguardia Nazionale.
Nel corso delle dichiarazioni che il depistatore rilasciò alle autorità italiane, fu tutto un avanti e indietro di uomini delle forze dell’ordine e del Sismi verso e da Ginevra e la sua “collaborazione” venne riconosciuta anche in termini economici, oltre ad ottenere la scarcerazione. Peccato che fosse tutto falso al punto che Ciolini verrà raggiunto nel 1983 da un altro ordine d’arresto. Su di lui, infatti, pendeva un mandato di cattura internazionale per calunnia e falso aggravato ai danni degli allora ministro per le partecipazioni statali Gianni De Michelis (citato nel riferimento al caso Toni-De Palo) e del vice segretario socialista Claudio Martelli (Bologna).
Ma ci sono anche i fatti accaduti in Belgio. Siamo a cavallo tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta. In Belgio agisce una banda che assalta furgoni portavalori e che ha un leader, Patrick Haemers, classe 1953, morto suicida in carcere a 40 anni. Dopo il primo colpo del 1978 (per rubare il corrispondente di 235 mila euro prese in ostaggio 28 persone), si allea ad altre due persone, Philippe Lacroix e di Thierry Smars, e tutti e tre compioni 7 rapine mettendo insieme 5 milioni di euro. Ma nel 1985 ci scappano due morti e Haemers viene arrestato.
In galera però non ci rimane a lungo e dopo l’evasione organizza il sequestro dell’ex primo ministro belga, Paul Vanden Boeynants, rapito il 14 gennaio 1989 da un’inesistente “Brigade Socialiste Révolutionnaire” (su questa vicenda è rimasto il sospetto che si sia trattato di un auto sequestro). Il politico, che appartiene al partito socialista, resterà un mese nelle mani dei rapitori e sarà liberato solo dopo il pagamento di 1 milione e mezzo di euro, versati dal governo di Gerusalemme per mai chiariti meriti che l’esecutivo belga avrebbe avuto nei confronti dello Stato d’Israele.
Ciolini, che per l’occasione assume l’identità del colonnello Bastiani e si spaccia per appartenente all’intelligence francese, si infiltra nella banda Haemers. Secondo quanto verrà ricostruito dagli investigatori valloni, nel periodo in cui si passa dagli assalti a scopo di rapina agli obiettivi politici, tra i rapinatori belgi e il sedicente agente segreto ci sarebbe stato un passaggio di ingenti somme di denaro mai ritrovate.
I delitti del 1992-’93: una profezia avverata. Dopo la condanna del 5 febbraio 1991 per calunnia, il 6 marzo 1992 prese un’altra volta carta e penna per scrivere a un magistrato a cavallo dell’omicidio del democristiano Salvo Lima, assassinato a Palermo il 12 marzo, si rivolse al giudice istruttore di Bologna Leonardo Grassi per dirgli che “nel marzo-luglio 1992 [si assisterà al] ritorno di una strategia omicida […], esplosioni dinamitarde […], eventuale omicidio di un esponente politico del Psi, Pci o Dc”.
Grassi allora preparò un’informativa che inviò a Roma, al ministero degli Interni, ma sembra che non sia possibile arrestare la scia di violenza che si scatenerà di lì a poco. Oltre all’esecuzione di Lima, difficile non ricordare che il 23 maggio 1992 salta per aria l’autostrada che dall’aeroporto siciliano di Punta Raisi a Palermo uccidendo il giudice Giovanni Falcone, sua moglie e gli uomini della scorta. E che il 19 luglio successivo un’autobomba, in via D’Amelio, falcia Paolo Borsellino e gli agenti che lo proteggevano. Poi, per qualche mese, torna il silenzio e la strategia stragista di cosa nostra riprenderà solo l’anno successivo, spostandosi sul continente.
Ciolini non era stato ascoltato, in quell’occasione, probabilmente perché ritenuto persona non affidabile. Del resto, sempre in quel periodo, aveva parlato di un tentativo di colpo di Stato in Italia che si ordiva in Jugoslavia e che vedeva coinvolti miliziani, massoni ed esponenti della mafia italiana. E a più riprese, anche nel decennio successivo, aveva pronosticato attentati mai verificatisi contro il più volte presidente del consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi. Inoltre era stato – presunto o meno che fosse – referente a Bruxelles di estremisti di destra italiani che cercavano agganci là nella seconda metà dello scorso decennio per non meglio precisati progetti.