L’ultima battaglia sportiva, poi comincerà definitivamente quella politica. Il pugile ucraino Vitali Klitschko, sabato prossimo, sfiderà alla Olympic Indoor Arena di Mosca il tedesco di origine siriana Manuel Charr per difendere il titolo pesi massimi della WBC. Poi, il 28 ottobre, alla guida del suo partito filo-occidentale Udar (acronimo che sta per Alleanza democratica ucraina per le riforme e che suona anche come ‘pugno’) sfiderà quello dell’attuale presidente Viktor Yanukovych alle elezioni legislative ucraine. Perché Klitschko (fratello di Vladimir, il dottor Steelhammer) è oramai da anni che si divide tra la boxe e la politica, e come ha detto durante la conferenza di presentazione dell’incontro di pugilato: “Solo per il fatto che ad agosto i miei compagni di partito erano in vacanza sono riuscito ad allenarmi. E una volta terminato questo incontro con Charr le mie sfida saranno esclusivamente nell’arena politica”.
Un’arena che Klitschko frequenta da quando nel 2005, dopo il suo primo ritiro dallo sport professionistico, fondò il Vitali Klitschko Bloc con cui concorse alla poltrona di sindaco di Kiev e si assicurò un posto in consiglio comunale. Già pugile di livello mondiale, Vitali Klitschko nel 2004 aveva vinto 35 dei 37 incontri disputati, di cui i primi 27 per Ko o Ko tecnico. E le uniche due sconfitte erano arrivate in mezzo alle polemiche: nel 2000 ritirato per un infortunio alla spalla contro Chris Byrde nonostante fosse in netto vantaggio, e nel 2003 escluso per ko tecnico contro Lennox Lewis per una contestata ferita al sopracciglio. Fece quindi scalpore che un pugile così potente e resistente, uno dei migliori della sua generazione, che già si era portato a casa diversi titoli nei pesi massimi delle sigle WBO, EBU e WBA e infine anche quello della WBC, decidesse di appendere i guantoni al chiodo.
Ma al di là degli infortuni, di certo non insormontabili, in quegli anni in Ucraina montava la rivoluzione arancione e Klitschko, convinto sostenitore delle istanze filo-occidentali della protesta e della ‘passionaria’ Timoshenko per cui ha sempre espresso ammirazione, decise di scendere in campo con un alleanza di centrodestra basata su un programma filo-europeista e di lotta alla corruzione. Da allora le due strade sono proseguite in parallelo. Da una parte Klitschko ha continuato a fare politica: correndo per la poltrona di sindaco di Kiev anche nel 2008 e arrivando al punto di fare dell’Udar un partito di massa, che i sondaggi in vista delle prossime elezioni danno come terzo al 9,5%, davanti ai comunisti e dietro solo ai due colossi di governo di opposizione. Dall’altra Klitschko è tornato alla boxe, vincendo tutte e nove le difese del titolo WBC e portando il suo record a 44-2, con una percentuale di vittorie per ko del 86.96% seconda solo a quella di Rocky Marciano.
Mai messo al tappeto da un avversario sul ring, la sua ultima sfida sportiva contro Charr prima di intraprendere quella politica, rischia però di assestare un altro duro colpo al pugilato, sport sempre più in crisi. Tra il proliferare di innumerevoli sigle e federazioni – create per racimolare più soldi possibili e che hanno avuto solo l’effetto di disintegrare il movimento – e la crescita esponenziale di nuovi sport di lotta – sempre più spettacolari e di più facile fruizione televisiva rispetto ad una arte nobile e tecnica come il pugilato – l’addio di grandi personaggi come Klitschko sarebbe deleterio. E allora ecco che qualcuno già vorrebbe organizzare a febbraio un incontro con borsa da 10 milioni tra l’ucraino (sempre che sabato mantenga il titolo) e David Haye. Ma Klitschko quel giorno potrebbe già essere definitivamente impegnato in un’altra battaglia, fuori dal ring.