Il New York Stock Exchange, Bank of America, Goldman Sachs, Merrill Lynch e Chase Manhattan (per l’occasione ribattezzate Bank of Un-America, Goldman Sucks, Merrily Lynched e Chaos Manhattan), sono i cinque palazzi di Wall Street bruciati in alte fiamme sabato sera a Burning Man, nel Nevada, come parte dell’installazione di Otto Von Danger Burn Wall Street. Chi non ha mai sentito parlare di Burning Man deve immaginare un deserto, il Black Rock desert, un’estensione di grigia sabbia sotto gli occhi e infinito turchese sopra, che si estende piatta a perdita d’occhio per più di mille miglia quadre dai monti di North Jackson alle Calico Mountains. Per una settimana all’anno questo nulla nel nulla diventa una mecca per migliaia di carovane che da ogni angolo degli Stati Uniti guidano verso il deserto. Ogni anno, in prossimità di Labor Day, nel cuore del deserto vive Burning Man.
La prima a parlarmi di Burning Man diversi anni fa è stata Amelia, una californiana di Bolinas incontrata dapprima in pellegrinaggio sull’Himalaya e poi nelle comunità sciamaniche del Perù. Amelia ogni anno affitta una specie di carovana lunga quindici metri, la tinge di rosa e parte per il Black Rock. Non c’è una volta che parli di Burning Man senza una sorta di sacralità stregata vagamente intimidatoria. Andare a Burning Man significa divenire ciò che non sei mai stato e fare ciò che non hai mai fatto, dice. Tutto è arte a Burning Man incluso te stesso. Le uniche cose bandite sono il denaro e nuocere a chiunque. Per il resto non ci sono dottrine, regole, religioni, spettatori. Tra altissime cattedrali fai-da-te, i raves, i tutù bianchi e le maschere subacquee, le percussioni e il dubstep, le cerimonie mistiche e la musica elettronica, il deserto diventa un’infinità ovattata e intermittente di tempeste di sabbia e voci avvolte in una notte che è sempre giorno e un giorno che è sempre notte, in cui bruciare ciò che sei stato e divenire ciò che non esiste ancora.
È in questo contesto che lo scorso sabato a Burning Man, Wall Street si è accartocciata in una tempesta di fiamme. Otto Von Danger ci ha messo diversi mesi, centomila dollari e settanta volontari per costruire una Wall Street in miniatura, ma perfettamente funzionante, con tanto di clienti tassati per respirare e insulto libero da parte dei passanti, nel cuore del deserto. Davanti al New York Stock Exchange c’è la Bill of Rights, e un balcone che si affaccia sul palazzo di nove piani di Goldman Sachs, la nota banca d’investimento che nel disegno di Otto Von Danger al suo interno prende la forma di una giungla, a mostrare la perversione delle sue operazioni bancarie. A destra del New York Stock Exchange c’è Bank of America. Anche qui nulla è lasciato al caso: Otto Von Danger spiega che al suo interno ci sono impiegati che distribuiscono ai visitatori ordini di pignoramento, sfratto e sequestro di proprietà. “Vogliamo che tutta la comunità capisca come la banca sta distruggendo le nostre comunità”, dice. L’idea fondamentale dietro al progetto Burn Wall Street è di mettere in scena l’immaginario collettivo. “La gente è arrabbiata”, dice Otto Von Danger, che prima di diventare un artista era un marines dell’esercito americano. In questo senso Burn Wall Street è pensato come una sorta di catarsi, un atto di purificazione e rinascita nel deserto.
Forse non dovrebbe stupire che l’intero progetto sia stato ideato da un veterano della prima guerra del Golfo, e finanziato da Veterans for Peace. C’è della seria sofferenza e della seria rabbia dietro a tutto questo. Fatto sta che per tutta la settimana davanti alla Wall Street in miniatura ci sono stati dibattiti e visite. Poi sabato sera l’opera è stata data alle fiamme. Qualcuno si è chiesto se avesse senso lavorare così tanto per poi bruciare un’opera così bella. Chi lo sa. Certo oltre alle ceneri oggi ci rimane una domanda: immagina se bruciasse Wall Street. Come ti piacerebbe vivere?