Alla stampa il nome di Elio Ciolini – il “teste svizzero” che da Ginevra stava facendo presunte rivelazioni sulla strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 – lo fece qualche settimana dopo l’inizio della sua “collaborazione” un avvocato fiorentino, Federico Federici. Lo racconta un rapporto dei carabinieri datato 14 maggio 1982 e qui va rintracciato, al di là del contenuto delle sue dichiarazioni, un legame solido tra Ciolini e la P2, il gruppo di Gelli che sarebbe stato nei memoriali scritti dal detenuto una delle anime della fantomatica loggia di Montecarlo e il tramite per dare il via alla preparazione dell’attentato di Bologna dopo la decisione presa in una riunione dell’11 aprile 1980.
Il nome dell’avvocato Federici, per quanto non presente nelle liste ritrovate l’17 marzo 1981 a Castaglion Fibocchi, nella sede della Gioele, un’azienda di proprietà di Gelli, emerge a più riprese dagli atti della Commissione Anselmi sulla P2. Era legato a un ingegnere, Enzo Giunchiglia, responsabile del gruppo toscano della P2 ed esponente di una loggia livornese, e pur avendo Federici un passato missino alla fine degli anni Sessata si era spostato prima verso il Psdi e poi verso il Psi.
Probabilmente Federici non fece in tempo a iscriversi al loggia gelliana, ma a suo favore Giunchiglia scrisse alla fine del 1979 – è agli atti della Commissione P2 – una lettera al venerabile commentando la richiesta di affiliazione dell’avvocato di Firenze: “Non ho parole sufficienti per esprimere tutta la mia gioia per un simile acquisto. Sono certo che il fratello Federico viene con noi per collaborare fattivamente tu ben sai quanto è importante avere fratelli intelligenti e operosi”.
Di Federici, Ciolini disse che era il depositario della lista degli iscritti alla loggia di Montecarlo e quando gli inquirenti andarono a cercare l’elenco, non lo trovarono. Ma Federici non negò di averla avuta e accusò altri massoni toscani di essersela ripresa e di averla fatta sparire lasciandolo nei guai. Non negò nemmeno la conoscenza con Ciolini arrivando a dire di averlo introdotto negli ambienti massonici fino alla loggia di Montecarlo, dove il detenuto svizzero avrebbe avuto modo di conoscere molte persone e di collezionare molte informazioni.
Inoltre entrambi confermarono l’esistenza di un progetto per togliere di mezzo Licio Gelli. Divenuto inviso agli ambienti che frequentava, si sarebbe fatta largo l’idea di “eliminarlo” procedendo per gradi. All’inizio si sarebbe dovuto tentare di screditarlo sia dentro che fuori dalla massoneria e poi, se non avesse funzionato, “lo facevano fuori del tutto”, come disse l’avvocato Federici nel corso di una telefonata dell’8 luglio 1982.
Quale sarebbe stato lo scopo dunque di tessere una rete così articolata fatta di elementi falsi e di elementi veri? Per il Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato, nella sua relazione del 6 aprile 1995, questo mosaico era “ascrivibile allo stesso quadro di depistaggi di impronta piduista operati dai servizi segreti”. Inoltre per una perizia fatta nel 1995 per la procura di Palermo dai consulenti Piera Amendola, Giuseppe De Lutiis ed Ercole Nunzi, “Le testimonianze [di Ciolini], seppur alla luce di queste connotazioni [il depistaggio sulla strage di Bologna, ndr], in talune circostanze si sono rivelate, al riscontro degli inquirenti, veritiere”. L’opinione diffusa è che si fece tutto questo per “invalidare le indagini” che puntavano verso la P2 facendola risultare quasi una “vittima”.