Nuove ammissioni sul caso delle interviste a pagamento nelle emittenti locali dell’Emilia Romagna. Ora a spiegare che anche le stesse “comparsate” all’interno dei telegiornali potrebbero essere state pagate, è lo stesso Giovanni Favia del Movimento 5 stelle ieri sera in radio: “Non posso escludere che queste cose siano accadute. Io non sono mai stato intervistato in un tg dietro pagamento – ha spiegato il consigliere regionale a Radio città del capo – ma non posso escludere che queste cose siano accadute”. La vicenda è ormai come un fiume in piena che travolge ogni aspetto dell’informazione radiotelevisiva in Regione. Ogni giorno ne spunta fuori una nuova: “Era una delle opzioni possibili presenti nei contratti – spiega Favia – ma io l’ho sempre rifiutata, perché l’ho sempre ritenuta scorretta”. Anche il vendoliano Gianguido Naldi lo dice: “Quando mi fu proposto il contratto con E’tv per le ospitate mi venne detto che mi garantiva di apparire regolarmente anche nel tg, ma non l’ho mai accettato”.
La giustizia intanto si è ormai mossa a tutti i livelli. Martedì la Procura della repubblica (che indaga per peculato contro ignoti) e la Corte dei conti avevano inviato nelle sedi delle emittenti e nel palazzo del consiglio regionale gli uomini della Guardia di Finanza a scartabellare tra fatture, contratti e tutte le carte di questi accordi per le ospitate nelle trasmissioni. Un lavoro accurato quello degli inquirenti che cercano di capire se la vicenda possa avere rilevanza penale. La Procura, che lavora nel massimo riserbo, cerca di capire se fatture e contratti con le emittenti venivano stipulati e pagati con soldi pubblici dal singolo consigliere all’insaputa del gruppo consiliare, o da quest’ultimo con l’accordo di tutti. Nel primo caso sarebbe infatti più probabile un’indebita appropriazione di denaro pubblico: cioè appunto il peculato.
Intanto si è mossa intanto anche l’Agcom, secondo cui a essere a rischio è il principio della par condicio, ma soprattutto il pluralismo della comunicazione politica . “Un’informazione effettuata tramite cessione onerosa di spazi di comunicazione politica si porrebbe in contrasto con tale principio generale”. L’Agenzia nazionale per le garanzie nelle comunicazioni ha quindi delegato il Corecom (che è il comitato regionale ad hoc) a uno screening delle comparsate a pagamento per poi segnalare le violazioni all’Agcom stessa. Le Tv e le radio emiliano-romagnole potrebbero essere obbligate a invitare gli esclusi per ristabilire la par condicio o a interrompere le trasmissioni per 30 giorni.
Le responsabilità più importanti sembrano ormai essere sempre più quelle dei giornalisti stessi. L’Ordine dei giornalisti emiliano romagnolo inizia a muoversi (ha aperto un ‘istruttoria lo scorso 24 agosto) anche se dà l’impressione di farlo lentamente. Almeno secondo Enrico Mentana, direttore del tg de La7, che ha dedicato martedì un suo editoriale alla vicenda. “Ricevo in tempo reale le dichiarazioni di sindacato e Ordine dei giornalisti, mi fanno presente che loro hanno preso posizione. Posizione? Ma quale inchiesta hanno fatto, quali provvedimenti hanno preso, stanno accertando?”, ha provocato Mentana in diretta televisiva .
E così, a scaricare la palla sulla deontologia hanno buon gioco gli stessi politici. Ieri l’ufficio di presidenza del consiglio regionale insieme a tutti i capigruppo di ogni partito ha preso le distanza dai cronisti coinvolti: “Quanto alla realizzazione dei format televisivi, non rientra nelle nostre responsabilità, né in quella dei consiglieri regionali, il rispetto di norme, anche deontologiche, attinenti all’attività giornalistica e di comunicazione”. Quei soldi pubblici del resto sarebbero stati spesi “nell’ambito del quadro normativo e regolamentare dato”.
Il caso era nato dalla scoperta di fatture del gruppo consiliare del Movimento 5 stelle nei confronti della televisione 7 Gold. Il consigliere regionale Giovanni Favia aveva ammesso di avere stipulato un contratto da 200 euro al mese per apparire in alcune emittenti locali, attirandosi gli strali dello stesso Bepppe Grillo: “È come pagare per andare al proprio funerale”, sentenziò il blogger genovese. Così il consigliere è stato costretto ad annullare tutti i suoi contratti.
Dopo pochi giorni, grazie ad un’inchiesta de ilfattoquotidiano.it sarebbe venuto a galla che anche politici del Partito democratico erano coinvolti nella pratica, dopo che inizialmente era sembrato che i bersaniani fossero immuni. Tanto che Marco Monari, capogruppo del Pd in Regione, è stato costretto ad ammettere “Se sono andati in onda video o trasmissioni senza la giusta dicitura qualcuno dovrà chiarire”.
Per gli altri partiti invece fin dal primo giorno in cui lo scandalo è partito, la giustificazione è sempre stata la stessa: “Era solo un modo per far fronte al mega apparato informativo della giunta regionale a guida Pd”.