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Crisi, l’Ocse ribassa le stime sul Pil: l’Italia è la peggiore del G7

Secondo l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo il nostro Paese non ha fatto abbastanza per la competitività: previsioni da -1,7 al -2,4 per cento. Come terapia viene auspicato un taglio di interessi da parte della Bce e nuove misure anti-spread

L’Italia non ha fatto abbastanza per la competitività. Lo dice l’Ocse, che ha ribassato le stime per il Pil italiano nel 2012, prevedendo un -2,4%. Lo riporta l’ultimo Interim Assessment dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo. Nelle stime emesse a maggio, la previsione era di un -1,7%. L’Italia subirà insomma una forte recessione e registra il peggiore risultato tra i paesi del G7.

Nel 2011 il Pil dell’Italia era cresciuto dello 0,5, con un netto peggioramento nel secondo semestre, in cui si registravano già due contrazioni trimestrali consecutive. La recessione, secondo le stime dell’Ocse, ha toccato il suo picco nel primo trimestre di quest’anno, con un Pil in contrazione del 3,3%, perdura nel secondo e nel terzo trimestre, con due secchi -2,9% e inizierà a “migliorare” nel quarto trimestre, quando il Pil attenuerà la sua contrazione a -1,4%. 

Padoan: “Il problema è la produttività”. Questioni cruciali: Una delle questioni cruciali chedev’essere affrontata, ha spiegato il capo economista Ocse Pier Carlo Padoan, è quella del “costo unitario del lavoro”, che include tre elementi. In primo luogo, “la produttività, che sappiamo essere un problema strutturale”, che “dev’essere aumentata”. Inoltre, “le dinamiche salariali”, che dovrebbero essere “più collegate alla produttività”delle differenti imprese, fattore di cui “i meccanismi di contrattazione dovrebbero tenere conto”.

Infine, c’è la questione del “cuneo fiscale, che resta tra i più elevati in Europa”, e dovrebbe quindi essere ridotto, “ma solo quando c’è certezza che i tagli alle tasse siano finanziati da tagli alle spese”. Per questo, ha concluso Padoan, “la spending review che è in corso deve rapidamente tradursi in fonte di risorse utilizzabili” per questi interventi.

Come “terapia”, l’Ocse invita la Bce a tagliare i tassi di interesse e a lanciare nuove misure anti-spread. “Nell’area euro – si legge – si deve abbassare il tasso di interesse sui marginal lending facility (i prestiti di emergenza a un giorno, ndr)”. Inoltre, nota l’Ocse, la Bce “dovrebbe considerare ulteriori azioni per consentire di normalizzare la trasmissione della politica monetaria nei paesi vulnerabili, provvedendo affinché le condizioni siano prese in linea con il suo mandato”.

 

“L’area euro resta il rischio più importante”. Dato che “l’area euro resta il rischio più importante per l’economia globale, è necessaria un’ulteriore azione politica per instaurare maggiore fiducia nell’unione monetaria”. L’organizzazione auspica in particolare riforme “in favore della crescita”, che sono “necessarie sia nei Paesi debitori che in quelli creditori”. “L’area euro si sta aggiustando, dolorosamente, forse troppo lentamente, e a un prezzo elevato” ha sottolineato durante la presentazione del rapporto Padoan. “C’è un problema bancario, un problema fiscale e un problema di competitività, e i tre sono correlati”, ha aggiunto, quindi “la situazione deve essere affrontata” per evitare un ulteriore impatto negativo sulla crescita economica globale.

“Arginare le paure sulla zona euro”. I timori sulla possibile uscita di alcuni Paesi dalla zona euro “stanno spingendo in alto i rendimenti, cosa che a sua volta rafforza la paura di rotture. E’ cruciale arginare queste paure”. “Ciò potrebbe essere ottenuto – scrive ancora l’organizzazione – dalla Bce attraverso un’azione sul mercato dei bond, per mantenere gli spread a livelli giustificati dai fondamentali economici”.

Padoan: “L’azione sui bond non può durare per sempre”. Le eventuali misure della Bce sul mercato obbligazionario per ridurre gli spread sono auspicabili, ha aggiunto Padoan, ma “non possono andare avanti per sempre, ci aspettiamo un momento in cui i rendimenti sul debito sovrano riflettano principalmente, se non totalmente, i fondamentali economici di un Paese”.