In molti dei manuali di economia del lavoro su cui si insegna nelle nostre università si sostiene una tesi simile questa: le persone in età e abili a lavorare (quella che gli economisti chiamano popolazione attiva) si trovano difronte al dilemma di lavorare o oziare. Nella soluzione di questo dilemma avrebbe un posto centrale la relazione tra il salario percepito per svolgere un lavoro, da un lato, e il livello di durata del sussidio di disoccupazione, dall’altro. Quanto più generosa è quest’ultima, minori saranno gli stimoli a cercare attivamente un lavoro, di modo che i lavoratori saranno inclini a godere del proprio ozio, questo sì, protretti dalla copertura pubblica. Presi da questo ragionamento, l’esistenza di una relazione inversa tra lavoro e sussidio, gli economisti neoliberali con posizioni più estreme sostengono che un adeguato sistema di stimoli è incompatibile con l’esistenza stessa del sussidio, per cui dovrebbe essere soppresso. Non possiamo accettare questo racconto, per varie ragioni.
Iniziamo dalla cosa più evidente, che è anche la più urgente. Il sussidio di disoccupazione è un meccanismo anticiclico, che si attiva in periodi di crisi economica. Questo significa che, se esiste il diritto all’aiuto (diritto di cui, non ci dimentichiamo, si gode perchè il lavoratore ha pagato la Previdenza sociale durante la sua vita lavorativa), la perdita di lavoro permette di ricevere un compenso monetario, il quale, insieme ad altre voci della spesa pubblica contribuisce al mantenimento di un determinato livello di domanda aggregata. In un contesto come quello attuale, caratterizzato da una brusca e continuata caduta della domanda, tagliare l’importo del sussidio (e più in generale, darsi ad una politica che si avvia a ridurre in maniera drastica la spesa pubblica, come quella che si sta applicando attualmente) suppone di allontanare ancora di più la possibilità di ripresa economica.
Conviene chiarire (bisogna chiarirlo, a questo punto!) che la responsabilità della disoccupaizone non è, in generale, di chi la subisce. La crisi economica ha distrutto milioni di posti di lavoro, senza che le politiche applicate fino ad oggi abbiano creato le condizioni per recuperarli; al contrario, hanno aggravato la situazione. E un problema che si aggiunge a questo, e che forse lo nasconde, è che durante le ultime decadi, anche in contesti di maggiore crescita, le economie europee non sono state capaci di assorbire l’offerta della forza lavoro disponibile. Aggiungiamoci che la qualità (la decenza, utilizzando un termine usato dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro), di questo si tratta, i salari e i diritti dei lavoratori, hanno sperimentato un calo continuo nei paesi dell’Unione Europea, non solo nei paesi del sud.
Si suppone, allo stesso modo (anche se non si dice in maniera esplicita…per ora), che la persona che è disoccupata preferisce mantenersi in questa situazione che svolgere un lavoro. La sua inclinazione naturale (rafforzata dallo stimolo perverso che rappresenta il sussidio) sarebbe da situarsi fuori dal sistema produttivo. Si ignora così che il lavoro, oltre ad offrire un salario con il quale coprire le proprie necessità, è una fonte di diritti individuali e collettivi e rafforza l’autostima; al contrario, la disoccupazione genera frustrazione, sfiducia e demoralizzazione, oltre che essere un fattore squalificante.
Si tenga contro, d’altra parte, che la supposta comodità di vivere della “minestra pronta”, che suppone il sussidio, tralascia (deliberatamente?) che il suo importo non ha smesso di essere ridotto con le successive riforme del lavoro introdotte negli ultimi anni e che, trascorso un periodo di tempo (in cui si è continuato a tagliare), il lavoratore smette di percepirlo, passando a dipendere sempre più spesso dalla precaria rete di assistenza sociale. Un’altra cosa: ridurre il sussidio di disoccupazione o il salario minimo non crea posti di lavoro, allo stesso modo in cui non li creano le politiche che non hanno altro obiettivo che tagliare i costi alle imprese facendo pressione sui salari. In questo senso, diversi studi dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo (il club di riferimento dell’ortodossia economica) offrono risultarti molto variegati, in assoluto su queesta stessa linea e addirittura opposti alle tesi più liberali.
Conoscendo (parzialmente, quello che emerge è la punta dell’iceberg) le retribuzioni che si auto assegnano i dirigenti delle grandi corporazioni, le indennità che ricevano quando abbandonano i loro incarichi (spesso, dopo essersi arricchiti portando le proprie imprese ad una situazione finanziaria limite o direttamente al fallimento), quando si sa che le grandi fortune appena pagano le tasse, quando non si smette di perdonare, in cambio di una minima penalizzazione, chi ha defraudato…risulta osceno e cinico, oltre che inefficacie, usare le forbici per il sussidio di disoccupazione e pretendere di migliorare il bilancio dell’occupazione attraverso questo “stimolo”.
Ridurre il sussidio, in un contesto di disoccupazione massiva e di disequilibrio nelle relazioni di potere, a beneficio dei capitali, servirà solo a ridurre ancora di più i salari di coloro che hanno la fortuna di lavorare, riducendo allo stesso modo la molto limitata capacità di pressione delle organizzazioni sindacali. Se non c’è terreno o questo traballa (perché si taglia l’importo dell’aiuto o si abbassa il salario minimo), le imprese giocheranno, come stanno già facendo, la partita dei salari bassi, pregiudicando soprattutto i collettivi più vulnerabili.
La destra politica e i mercati, liberati dai complessi e dai pregiudizi, superate tutte le linee rosse, abbattutti i muri di contenimento che ancora restavano in piedi, mettono sul tavolo una grande sfida: sottomettere i diritti sociali allo scutinio dei mercati. Quelli stessi diritti per i quali in molti abbiamo lottato, che tanto hanno a che vedere con la democrazia, l’esercizio della cittadinanza, la dignità e il progresso.
di Fernando Luengo
Vieni a trovarci anche sul nostro sito
(Traduzione dallo spagnolo di Alessia Grossi)
econoNuestra
Organizzazione sociale spagnola per la diffusione di idee economiche critiche
Lavoro & Precari - 7 Settembre 2012
Disoccupazione, il taglio dei sussidi penalizza anche chi lavora
In molti dei manuali di economia del lavoro su cui si insegna nelle nostre università si sostiene una tesi simile questa: le persone in età e abili a lavorare (quella che gli economisti chiamano popolazione attiva) si trovano difronte al dilemma di lavorare o oziare. Nella soluzione di questo dilemma avrebbe un posto centrale la relazione tra il salario percepito per svolgere un lavoro, da un lato, e il livello di durata del sussidio di disoccupazione, dall’altro. Quanto più generosa è quest’ultima, minori saranno gli stimoli a cercare attivamente un lavoro, di modo che i lavoratori saranno inclini a godere del proprio ozio, questo sì, protretti dalla copertura pubblica. Presi da questo ragionamento, l’esistenza di una relazione inversa tra lavoro e sussidio, gli economisti neoliberali con posizioni più estreme sostengono che un adeguato sistema di stimoli è incompatibile con l’esistenza stessa del sussidio, per cui dovrebbe essere soppresso. Non possiamo accettare questo racconto, per varie ragioni.
Iniziamo dalla cosa più evidente, che è anche la più urgente. Il sussidio di disoccupazione è un meccanismo anticiclico, che si attiva in periodi di crisi economica. Questo significa che, se esiste il diritto all’aiuto (diritto di cui, non ci dimentichiamo, si gode perchè il lavoratore ha pagato la Previdenza sociale durante la sua vita lavorativa), la perdita di lavoro permette di ricevere un compenso monetario, il quale, insieme ad altre voci della spesa pubblica contribuisce al mantenimento di un determinato livello di domanda aggregata. In un contesto come quello attuale, caratterizzato da una brusca e continuata caduta della domanda, tagliare l’importo del sussidio (e più in generale, darsi ad una politica che si avvia a ridurre in maniera drastica la spesa pubblica, come quella che si sta applicando attualmente) suppone di allontanare ancora di più la possibilità di ripresa economica.
Conviene chiarire (bisogna chiarirlo, a questo punto!) che la responsabilità della disoccupaizone non è, in generale, di chi la subisce. La crisi economica ha distrutto milioni di posti di lavoro, senza che le politiche applicate fino ad oggi abbiano creato le condizioni per recuperarli; al contrario, hanno aggravato la situazione. E un problema che si aggiunge a questo, e che forse lo nasconde, è che durante le ultime decadi, anche in contesti di maggiore crescita, le economie europee non sono state capaci di assorbire l’offerta della forza lavoro disponibile. Aggiungiamoci che la qualità (la decenza, utilizzando un termine usato dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro), di questo si tratta, i salari e i diritti dei lavoratori, hanno sperimentato un calo continuo nei paesi dell’Unione Europea, non solo nei paesi del sud.
Si suppone, allo stesso modo (anche se non si dice in maniera esplicita…per ora), che la persona che è disoccupata preferisce mantenersi in questa situazione che svolgere un lavoro. La sua inclinazione naturale (rafforzata dallo stimolo perverso che rappresenta il sussidio) sarebbe da situarsi fuori dal sistema produttivo. Si ignora così che il lavoro, oltre ad offrire un salario con il quale coprire le proprie necessità, è una fonte di diritti individuali e collettivi e rafforza l’autostima; al contrario, la disoccupazione genera frustrazione, sfiducia e demoralizzazione, oltre che essere un fattore squalificante.
Si tenga contro, d’altra parte, che la supposta comodità di vivere della “minestra pronta”, che suppone il sussidio, tralascia (deliberatamente?) che il suo importo non ha smesso di essere ridotto con le successive riforme del lavoro introdotte negli ultimi anni e che, trascorso un periodo di tempo (in cui si è continuato a tagliare), il lavoratore smette di percepirlo, passando a dipendere sempre più spesso dalla precaria rete di assistenza sociale. Un’altra cosa: ridurre il sussidio di disoccupazione o il salario minimo non crea posti di lavoro, allo stesso modo in cui non li creano le politiche che non hanno altro obiettivo che tagliare i costi alle imprese facendo pressione sui salari. In questo senso, diversi studi dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo (il club di riferimento dell’ortodossia economica) offrono risultarti molto variegati, in assoluto su queesta stessa linea e addirittura opposti alle tesi più liberali.
Conoscendo (parzialmente, quello che emerge è la punta dell’iceberg) le retribuzioni che si auto assegnano i dirigenti delle grandi corporazioni, le indennità che ricevano quando abbandonano i loro incarichi (spesso, dopo essersi arricchiti portando le proprie imprese ad una situazione finanziaria limite o direttamente al fallimento), quando si sa che le grandi fortune appena pagano le tasse, quando non si smette di perdonare, in cambio di una minima penalizzazione, chi ha defraudato…risulta osceno e cinico, oltre che inefficacie, usare le forbici per il sussidio di disoccupazione e pretendere di migliorare il bilancio dell’occupazione attraverso questo “stimolo”.
Ridurre il sussidio, in un contesto di disoccupazione massiva e di disequilibrio nelle relazioni di potere, a beneficio dei capitali, servirà solo a ridurre ancora di più i salari di coloro che hanno la fortuna di lavorare, riducendo allo stesso modo la molto limitata capacità di pressione delle organizzazioni sindacali. Se non c’è terreno o questo traballa (perché si taglia l’importo dell’aiuto o si abbassa il salario minimo), le imprese giocheranno, come stanno già facendo, la partita dei salari bassi, pregiudicando soprattutto i collettivi più vulnerabili.
La destra politica e i mercati, liberati dai complessi e dai pregiudizi, superate tutte le linee rosse, abbattutti i muri di contenimento che ancora restavano in piedi, mettono sul tavolo una grande sfida: sottomettere i diritti sociali allo scutinio dei mercati. Quelli stessi diritti per i quali in molti abbiamo lottato, che tanto hanno a che vedere con la democrazia, l’esercizio della cittadinanza, la dignità e il progresso.
di Fernando Luengo
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(Traduzione dallo spagnolo di Alessia Grossi)
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Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Vogliamo il pilastro europeo dell'Alleanza atlantica e non lo delegheremo alla Francia e alla Gran Bretagna". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo. "Per avere i granai pieni -ha aggiunto- bisogna avere gli arsenali pieni, la difesa è la premessa della libertà e della democrazia".
Bruxelles, 18 mar. - (Adnkronos) - Le sedici aziende dell’Alleanza “Value of Beauty”, lanciata a febbraio 2024, hanno presentato a Bruxelles uno studio commissionato a Oxford Economics sull’impatto socioeconomico del settore. Il Gruppo L’Oréal, Kiko Milano, Beiersdorf, Iff, e altri grandi marchi dell’industria vogliono inserirsi nello spiraglio aperto dalla Commissione europea per favorire la semplificazione normativa in vari ambiti, e per chiedere un dialogo strategico sul futuro del settore, come già successo per agricoltura e automotive.
Il settore guarda con attenzione alle proposte su una legge europea vincolante per le biotecnologie e alla strategia per la bioeconomia, che la Commissione si impegna a presentare entro la fine dell’anno. Ma guarda con attenzione anche agli sviluppi nelle relazioni commerciali in Occidente alla luce della recente entrata in vigore dei dazi di Washington sull’import dall’Unione europea.
“Cinque delle sette più grandi aziende del settore hanno la loro sede nell’Ue”, ha sottolineato l’amministratore delegato del Gruppo L’Oréal, Nicolas Hieronimus.
A Bruxelles i sedici membri dell’Alleanza chiedono politiche per la produzione sostenibile di ingredienti e la formazione di personale per sbloccare il potenziale del settore. Un aspetto legato, secondo l’amministratore delegato di Kiko Milano, Simone Dominici, all’impatto positivo che la cura del corpo e dell’estetica ha sull’autostima e sulla salute mentale dei consumatori. Aspetti non trascurati dallo studio dell’Oxford Economics presentato all’ombra dei palazzi delle istituzioni europee. Il rapporto mostra che la spesa dei consumatori nell’Ue per i prodotti di bellezza e cura della persona ha superato i 180 miliardi di euro e dato lavoro a oltre tre milioni di persone, un numero che supera il totale della forza lavoro presente in 13 Stati membri dell’Ue. Troppi anche gli oneri per l'industria della cosmetica che rendono necessaria una revisione della direttiva sulle acque reflue. Forte dei 496 milioni di euro generati ogni giorno e dei 3,2 milioni di posti di lavoro, la cordata dei grandi nomi dell’industria della bellezza chiede che tutti i settori che contribuiscono ai microinquinanti nelle acque siano ritenuti responsabili, in linea con il principio “chi inquina paga”.
I riflettori dell’Alleanza, che guarda anche agli interessi di tutti gli attori della filiera - dagli agricoltori ai vetrai, importanti nella catena del valore quanto le case di fragranze - sono rivolti in primis sull’attesa revisione del regolamento Reach (Regulation on the registration, evaluation, authorisation and restriction of chemicals), che regolamenta le sostanze chimiche autorizzate e soggette a restrizione nell’Unione europea. L’Alleanza chiede che a questa iniziativa, annunciata nel 2020 come parte del pacchetto sul Green deal, si aggiunga anche una revisione del regolamento sui prodotti cosmetici.
L’appello ha come obiettivo la riduzione degli oneri amministrativi e lo stimolo all'innovazione, senza sacrificare l’approccio basato sul rischio per la salute e la responsabilità per la tutela dell’ambiente. Trasmette ottimismo l’iniziativa della Commissione di considerare delle esenzioni per alcune imprese colpite dalla direttiva della diligenza dovuta che imponeva oneri considerati sproporzionati alle piccole e medie imprese, la colonna portante del settore.
“Vogliamo impiegare più tempo alla sostenibilità, piuttosto che alla rendicontazione amministrativa”, è stato l’appello degli amministratori delegati durante la conferenza stampa che ha preceduto gli incontri istituzionali al Parlamento europeo, tra cui quello con la presidente dell’istituzione, Roberta Metsola. Lo studio presentato dimostra che una parte consistente della cura per la sostenibilità ambientale passa anche dalla cosmetica. L’Oréal ha già annunciato che entro il 2030 il 100% della plastica utilizzata nelle confezioni sarà ottenuta da fonti riciclate o bio-based.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Mandare soldati in Ucraina mentre ci sono i bombardamenti è una pazzia e l'Italia non farà questa scelta". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Gli inglesi sono usciti dall'Europa e adesso ci convocano una volta a settimana, facessero domanda per rientrare nell'Unione europea". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Dei Servizi segreti non si parla nell'Autogrill, si parla nel Copasir, io all'Autogrill ci vado a comprare il panino". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Da oggi sono autorizzato a dire che la Meloni non smentisce l'utilizzo di intercettazioni preventive nei confronti di un giornalista che attacca il Governo. È una cosa enorme, che ha a che fare con la dignità delle Istituzioni. Se non vi rendete conto che su questa cosa si gioca il futuro della libertà, allora sappiate che c'è qualcuno che lascia agli atti questa frase, perchè quando intercetteranno voi, in modo illegittimo, con i trojan illegali, saremo comunque dalla vostra parte per difendere il vostro diritto di cittadini, mentre voi oggi vi state voltando dal'altra parte". Lo ha affermato Matteo Renzi nella sua dichiarazione di voto sulle risoluzioni sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
"Giorgia Meloni va al Consiglio europeo senza una linea, senza sapere da che parte stare, senza aver avuto il coraggio di rispondere a quella frase che lei stessa aveva detto: 'come diceva Pericle la felicità consiste nella libertà e la libertà dipende dal coraggio'. Se la felicità e la libertà dipendono dal coraggio, Giorgia Meloni -ha concluso l'ex premier- non è felice, non è libera".
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Proprio perché sono una patriota metterò questa nazione in sicurezza, perché come dice la nostra Costituzione difendere la Patria è un sacro dovere del cittadino". Lo ha affermato il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nella replica al Senato sulle comunicazioni in vista del prossimo Consiglio europeo.