Sono passati 49 giorni da quando il fuoco della ‘ndrangheta ha bruciato il camioncino-chiosco di Loreno Tetti, venditore di panini in via Celoria a Milano, davanti al Politecnico. È solo l’ultimo di una lunga serie di incendi, nella Milano dove “la mafia non c’è”.
Curiose “autocombustioni” di cantieri, edifici, automezzi, nella civilissima Lombardia che fino a ieri preferiva far finta di niente. Loreno Tetti è stato l’unico a non tirarsi indietro, quando è arrivato il momento di testimoniare al processo contro il racket. “Sulla piazza di Milano ci siamo noi a controllare i camion, ognuno ha la sua zona: abbiamo Città studi, corso Como, piazzale Lagosta e via Carlo Farini”. E ancora: “Lavoriamo con i calabresi, gente che sta scontando l’ergastolo, siamo in Comasina, comandiamo a Quarto Oggiaro. Il mio socio è Emanuele Flachi”. Così aveva rivelato “Pinone”, ovvero Giuseppe Amato, braccio armato della cosca Flachi che controlla discoteche e locali notturni, ma anche parcheggi e chioschi dei panini in città. Davanti ai giudici, gli altri testimoni avevano minimizzato o fatto scena muta. Lui no: Loreno Tetti, il “paninaro” dal camioncino rosso, aveva raccontato quanto è difficile vendere bibite e panini a Milano. Per lavorare tranquilli, bisogna pagare la cosca Flachi, “mettersi a posto”, come si dice al sud. La reazione non è tardata: la notte del 19 luglio (data dell’anniversario della strage in cui è morto Paolo Borsellino) il furgone rosso di Tetti ha preso fuoco. Poi è arrivato l’agosto delle vacanze e della città deserta. Ed ora il furgone sta lì, in via Celoria, da 49 giorni, annerito e chiuso per sempre. “Sono disperato, questo è il prezzo per chi denuncia. Mi hanno lasciato solo”, ha reagito a caldo Tetti.
Qualcosa è stato fatto, per non lasciare solo il “paninaro” di Città Studi: gli studenti del Politecnico hanno organizzato una raccolta di firme di solidarietà, il comitato antimafia presieduto da Nando dalla Chiesa ha inserito al volo quell’attentato nella sua prima relazione sulla mafia a Milano, la commissione cittadina antimafia di David Gentili sta organizzando iniziative sul luogo dell’incendio. Non bisogna però permettere che ora vinca la distrazione, la dimenticanza, la sottovalutazione, l’indifferenza, il cinismo. L’estate non deve azzerare l’attenzione, non deve “resettare” la nostra memoria. Il camioncino rosso di via Celoria potrebbe diventare, con il suo muso bruciato, una vittoria delle cosche, l’avvertimento mafioso a tutti quelli che a Milano sono sottoposti alle richieste mafiose: “Colpirne uno per educarne cento”.
Deve diventare invece il simbolo che si può resistere, il monumento alla ribellione contro la prepotenza dei boss. Tutti i milanesi onesti devono sentirsi coinvolti da quello che è successo davanti al Politecnico, devono “adottare” quel camioncino, reagire con decisione a fianco di Loreno. Deve scendere in campo anche il sindaco. Devono muoversi le autorità, la politica, la Milano della cultura e dell’impresa. Quell’incendio non è una faccenda personale di Loreno Tetti, è una battaglia collettiva, un rischio mortale – oppure un’opportunità di liberazione – per la città. Lì, in via Celoria, se perde Loreno, perdiamo tutti; se vince lui, vince Milano.
Il Fatto Quotidiano, 6 Settembre 2012