Tra i paradossi del governo tecnico di Mario Monti rischia di esserci la massiccia estromissione dei saperi tecnici dai ministeri, i quali stanno per essere consegnati al controllo assoluto della casta burocratica dei ministeriali, alla faccia della ‘società civile’. La spending review ha infatti stabilito che i comitati tecnico-scientifici ministeriali in scadenza vengano soppressi: il che ha provocato la morte di tutti quelli del ministero per i Beni culturali. Una piccola morte che si somma ad altri cupi segnali che sembrano annunciare una morte più grande: quella dello stesso Mibac.
Quest’ultimo, infatti, nacque come ministero essenzialmente tecnico: in un primo momento Massimo Severo Giannini propose addirittura di costituire, sotto il cappello politico del ministero, un’agenzia tecnica che fosse un grandissimo ufficio per l’organizzazione e il controllo della tutela del patrimonio storico e artistico italiano. Il perché è presto detto: a partire dall’articolo 9 della Costituzione (che lega indissolubilmente tutela e ricerca) il sistema italiano delle soprintendenze si è sempre basato sulla conoscenza. Come per decidere quali farmaci mettere in commercio ci vogliono i medici, così per dirigere gli Uffizi ci vuole uno storico dell’arte, e per conservare il Colosseo un archeologo. Era dunque perfettamente naturale che anche al vertice di questo sistema avessero spazio le competenze tecniche: e che, anzi, lì il ministero si aprisse ulteriormente, coinvolgendo docenti universitari e altri esperti. A questo servono (servivano) i comitati tecnico-scientifici: a offrire all’amministrazione e alla guida politica del Mibac gli elementi di fatto in base ai quali prendere le decisioni.
Da domani, invece, non ci saranno più storici dell’arte a stabilire se una tavola di Giotto può o non può affrontare un viaggio a Pechino, e non saranno architetti o urbanisti a valutare se Pierre Cardin può costruire la sua torre di 250 metri alle porte di Venezia. No: saranno i direttori generali, e cioè direttamente la struttura burocratico-politica. E c’è un’ulteriore conseguenza: i presidenti dei comitati componevano per metà il Consiglio superiore dei Beni culturali, l’organo che dovrebbe dare l’indirizzo all’intera opera del ministero, e che si trova ora ridotto a una piccola corte di nominati dal ministro (il cui presidente annunciato sarà un filosofo del diritto: sempre a proposito di competenza tecnica!). Il giacobinismo contabile della spending review dà il colpo di grazia a un sistema al lumicino: soprintendenze massacrate nell’organico, tutela sacrificata al marketing della valorizzazione, finanziamenti da allarme rosso , ministri flaccidi e incompetenti. Se c’è una strategia è quella di distruggere la tutela pubblica, per poter poi dire (come si è appena fatto per la Pinacoteca di Brera): ‘Ma qui non funziona nulla: diamo tutto ai privati!’.
In tutto questo, l’esecutore testamentario del Mibac, professor Lorenzo Ornaghi, tace.
Il Fatto Quotidiano, 7 settembre 2012