Quadro difficile da interpretare per il futuro del cinema in Italia. Tutto sta cambiando alla velocità della luce, e non sempre le strutture del mercato sono pronte a reagire convenientemente a questi mutamenti. In questi giorni alla Mostra del Cinema di Venezia un susseguirsi di convegni ha tracciato scenari complessi per il futuro e fatto luce anche sull’evoluzione recentissima del mercato.
Stiamo uscendo da un’estate in cui il cinema di fatto ha chiuso per ferie: moltissime sale non sono restate aperte non perché – come accadeva una volta – il pubblico non va a vedere gli spettacoli al chiuso (ora quasi tutte le sale sono climatizzate e spesso si starebbe meglio a vedere un film al fresco che non a farsi opprimere dall’umidità e dall’afa), ma perché, incredibile a dirsi, non c’era prodotto da vendere. Da metà giugno, per una scelta poco comprensibile delle grandi case di distribuzione, soprattutto americane, non sono (quasi) più usciti film di richiamo capaci di produrre incassi. Un po’ come se i macellai da giugno a settembre non avessero carne. Il paradosso è che film disponibili per coprire le programmazioni ci sarebbero, ma restano ai margini del mercato perché nessuno scommette sulla loro capacità di attrarre grandi masse, e quindi la distribuzione non li fa uscire.
Questo primo elemento ha l’effetto di accentuare la concentrazione oligopolistica del mercato già in atto. Le monosale, spesso situate nei centri storici delle grandi città o in piccole città, stanno sparendo una dopo l’altra, qualche volta accompagnate da petizioni, marce, manifestazioni ecc. per la loro sopravvivenza. Per di più, tra poco più di un anno (dal gennaio 2014) dovremo dare l’addio definitivo alle vecchie “pizze” 35 mm. Tutto il cinema passerà al digitale, e si rende ora necessario attrezzare le sale con nuove costose apparecchiature. Anche questo contribuisce a condannare a morte i piccoli cinema perché in Italia, contrariamente a quanto sta accadendo in altri paesi, non c’è un programma statale di aiuti alle sale. Come sempre, si sta allora disegnando una mappa a macchia di leopardo. Alcune regioni, più attente a questi problemi, hanno emanato bandi e stanno distribuendo aiuti, altre no.
Infine, ultimo aspetto del quadro che si delinea per il prossimo futuro, una volta che tutto il cinema sarà convertito al digitale, la distribuzione potrà funzionare via satellite, e non più attraverso corrieri, camion ecc. Anche questo avrà un effetto sul mercato del cinema: vi immaginate una major americana che da Los Angeles distribuisce un film via satellite in cento paesi del mondo e in cinquantamila sale del pianeta? Il rischio è che, una volta che l’evoluzione del sistema sarà completata, il pubblico sia indotto ancor più a consumare solo fast-food cinematografico, cioè un prodotto sempre più legato a standard regolati dalla grande industria. In prospettiva è la stessa esistenza delle cinematografie nazionali ad essere a rischio, in primis quella del cinema italiano, che ha strutture industriali sostanzialmente deboli. Non basteranno certo i sussidi alla produzione (che già ci sono) per mantenere in vita un’industria destinata a fornire prodotti che nessuno vorrà vedere e quindi distribuire.
E’ ovvio che è molto difficile reagire a questa tendenza alla concentrazione, e non serve a niente piangere sulle sale che chiudono (così come lamentarsi della pirateria web). Per far sopravvivere un mercato diversificato occorre invece costruire un pubblico esigente e preparato. Se accanto al fast-food prosperano i ristoranti slow-food (che costano di più, ma offrono una qualità incomparabilmente migliore), se oltre allo spritz posso gustare un buon bicchiere di vino in un’enoteca, perché non potrei poter fare lo stesso per il cinema? La distribuzione via satellite, invece di costituire una minaccia monopolistica, potrebbe rendere più facile accedere a immensi magazzini di film conservati dalle cineteche il cui nuovo ruolo potrebbe essere decisivo. Ma fin d’ora occorre fare molto per la costruzione di un gusto raffinato, di un saper vedere che sia critico e non solo epidermico: non si va in enoteca se si è sempre bevuto un vino adulterato…