Nel 2006 aveva fatto risorgere il Bologna Jazz Festival chiamando a suonare Sonny Rollins e Wayne Shorter: "La non novità è la qualità. E quest'ultima paga sempre"
Sono andati in tanti a dare l’ultimo saluto a Massimo Mutti. Gremita la chiesa di San Giuseppe per i funerali dell’inventore del Bologna Jazz Festival. Mutti, 57 anni, si è spento lunedì sera al Sant’Orsola, dove era ricoverato da qualche giorno.
Viveva a Bologna, città che amava moltissimo e di cui animava da anni la vita culturale, prima come gestore dell’osteria storica del Moretto – dove organizzava eventi e concerti – e poi dal 2006 come patron e direttore artistico del Bologna Jazz Festival. Un uomo traboccante di swing e improvvisazione, cui vanno i meriti della renaissance del jazz moderno sotto le Torri. Soleva dire, con la solita Marlboro tra le dita e le lunghe gambe accavallate: «la non novità è quella della qualità che paga sempre, perché anche nel jazz c’è un solo modo di fare le cose per bene».
Nel caso del Bologna Jazz Festival che ha fatto risorgere nel 2006, l’ha fatto chiamando in città musicisti di caratura internazionale, in qualche caso autentiche leggende della musica afroamericana. Da Wayne Shorter a Herbie Hancock, da Brad Mehldau a Sonny Rollins, in un periodo nel quale il mondo della musica vede moltiplicarsi i progetti definiti «trasversali» c’è chi si batte per riscoprire gli abissi del jazz, la sua poetica improvvisata, l’estetica della casualità.
“Max” era amico intimo di Alberto Alberti, l’uomo che con Cicci Foresti nel ’58 s’inventò di sana pianta un festival jazzistico di cui s’è occupato a lungo la stampa internazionale.
Scomparso Alberti nel 2006, personaggio lirico, con mille sfaccettature, adatto a uno spaccato su celluloide, è stato proprio lui a raccoglierne il testimone. In questo momento stava tirando le somme e perfezionando le rifiniture della settima edizione del festival che si volgerà in teatri e club dal 15 al 25 novembre. Una vetrina di profilo internazionale, con grandi stelle del firmamento jazz, da Corea a Jim Hall allo stesso Mehldau.
Affranto e incredulo, Giovanni Serrazanetti, titolare della Cantina Bentivoglio, lui pure uomo di jazz (presenta da 17 anni Umbria jazz), così commenta: «Massimo costituiva una presenza insostituibile nel Bolognese, in particolare per quanto riguarda i rapporti con i club con i quali ha avuto un feeling splendido. Ci auguriamo tutti che il festival prosegua, i contratti sono firmati, seppure con grandi rimpianti per la perdita di un amico. Un dolore difficile da descrivere.”
Alberto Ronchi, con cui Mutti ha condiviso tutte le edizioni del suo festival, ha detto «La notizia mi addolora… lo conoscevo da sei anni, da quando lui e Alberti erano venuti in Regione al mio assessorato perché volevano dare inizio a questa nuova kermesse».
Anche il sindaco, Virginio Merola, ha espresso il suo cordoglio per la scomparsa del cittadino bolognese: «Apprendiamo con estremo dolore della scomparsa di Massimo Mutti, persona che ha dato tanto alla cultura di questa città. Mutti era guidato dalla passione e nel corso degli anni riuscì a portare a Bologna grandi nomi del jazz internazionale, organizzando concerti di qualità. Realizzò il Festival del Jazz e grazie alle sue doti riuscì ad avvicinare tanti giovani alla musica».
Max è stato senza dubbio l’uomo che ha centrato l’obiettivo di fare incrociare le nuove generazioni con un’espressione musicale fondamentale vissuta in diretta, qual è appunto un grande festival jazz, nel piacevole disincanto alla vita. Lascia il figlio Federico, talentuoso regista e il nipote, il piccolo Leon.