La prima stagione della comunicazione politica online è giunta a maturazione. Fino a qualche anno fa la sola presenza di un politico sui social media poteva rappresentare un elemento di innovazione, di apertura (percepita) e trasparenza (altrettanto percepita). L’innovazione si muoveva sulla dicotomia presenza-assenza: quando la maggior parte delle personalità politiche era assente, la semplice iscrizione a Facebook o Twitter rappresentava un vantaggio competitivo. 

I dati (disastrosi) sulla fiducia nel sistema politico italiano offrono però ulteriori spunti per la riflessione sulla comunicazione politica italiana in Rete. Neanche le strategie più raffinate di branding hanno impedito il progressivo e generalizzato sfarinamento della fiducia degli elettori verso partiti, leader e istituzioni.

Questo scenario offre due conseguenze interpretative:

a. le attuali strategie di comunicazione politica online e sui social media in Italia, orientate quasi esclusivamente alla promozione del self-branding politico (soprattutto tra gli staff di comunicazione dei leader politici nazionali), hanno ottenuto nella migliore delle ipotesi risultati irrilevanti nella difesa, nel consolidamento e nella formazione del consenso dei politici, dei partiti e delle istituzioni e nella peggiore delle ipotesi sono risultati addirittura controproducenti, soprattutto quando non si è tenuto conto della gestione del feedback prodotto dagli utenti, sia in senso dialogico-interattivo, ad esempio rispondendo ai commenti, sia in senso riflessivo-analitico, ad esempio raccogliendo i contributi degli utenti e sottoponendoli a meccanismi di analisi fattoriale, quantitativa e qualitativa, dei testi prodotti online;

b. l’attuale comunicazione politica sul web e sui social media in Italia, pur sviluppandosi su piattaforme tecnologiche avanzate (e non disponibili solo fino a pochi anni fa), pur disponendo di pubblico potenziale molto grande, capillare, i cui output sono misurabili, pur essendo pregna di ‘retorica della partecipazione’ (soprattutto a ridosso degli appuntamenti elettorali) non è realmente partecipativa. I processi di Open Gov sono estemporanei, non centralizzati e totalmente dipendenti dalla volontà politica dei singoli amministratori locali. Non esistono, invece, processi di Open Gov funzionali a co-costruire la linea politica all’interno delle organizzazioni di partito, soprattutto su scala nazionale. Non esistono strumenti universali con cui le organizzazioni politiche possono raccogliere contributi migliorativi da parte dei cittadini, ricevendo in cambio aiuto nella regolazione amministrativa e ottenendo, come effetto ‘collaterale’, livelli più alti di citizen satisfaction. Non esistono applicazioni ‘civiche’, sviluppate all’interno delle pubbliche amministrazioni e distribuite con codice aperto all’interno degli enti pubblici dell’intero Paese.

La comunicazione politica online dovrebbe badare sempre meno al self-branding e sempre più all’Open Gov, ammesso che alla politica interessi fare questo salto in avanti

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