Passera: "Non è un caso impossibile". All'incontro-fiume si è deciso lo spegnimento graduale delle celle e la sollecitazione a Klesch e Glenocore per le trattative sull'acquisto. I sindacati insoddisfatti: "Serve un tavolo a Palazzo Chigi". Gli operai: "Restiamo qui". Scontri al corteo dei lavoratori a Roma: petardi e bombe carta contro gli agenti, almeno 20 feriti
Spegnimento più graduale delle celle con l’allungamento dei tempi della fermata dell’impianto e sollecitazione alle imprese che hanno manifestato interesse ad avviare in tempi rapidi le negoziazioni. Questi due dei punti emersi nel corso del tavolo sull’Alcoa concluso, dopo oltre 10 ore, al ministero dello Sviluppo economico. Il caso Alcoa non è impossibile, ha detto restituendo qualche speranza, il ministro Corrado Passera durante il tavolo tra azienda, sindacati e enti locali che sta andando avanti da mezzogiorno a Roma. “Faremo molta pressione sui due gruppi che hanno manifestato interesse (Glencore e Klesch, ndr), ma lavoriamo in parallelo su tutto quello che può dare sviluppo al Sulcis”: questo l’intervento, in sintesi, di Passera, secondo quanto riferito da fonti sindacali alle agenzie. Passera alcuni giorni fa aveva detto l’esatto contrario durante la festa del Pd. Ma oggi ha spiegato anche perché la scorsa settimana si dimostrava meno ottimista.
“Questo – avrebbe detto Passera – è uno dei casi più difficili che abbiamo al ministero dello Sviluppo economico: il mio impegno personale non è mai mancato e non mancherà fino a quando sarò ministro. Non ho mai pensato che fosse un caso impossibile: quando mi è stato chiesto alla Festa del Pd, non avevamo uno straccio di manifestazione di interesse. Mi impegnerò a trovare soluzioni per questo pezzo importante” dell’imprenditoria italiana, “ma dobbiamo lavorare tutti insieme in parallelo sul piano Sulcis“.
L’Alcoa e i sindacati in particolare starebbero ragionando, con la mediazione del governo, su un rallentamento della procedura di spegnimento dello stabilimento di Portovesme. La conclusione della procedura di spegnimento slitterebbe quindi dal 7 al 15 ottobre. Prosegue intanto la mobilitazione dei dipendenti sotto la sede del Ministero, anche se il numero dei partecipanti appare ridotto rispetto a stamani: il rumore di fischietti e petardi, in ogni caso, prosegue incessante. Oggi duri scontri avevano provocato almeno una ventina di feriti tra forze dell’ordine e operai.
Video – Scoppia la rabbia degli operai Alcoa
Le altre garanzie dopo l’incontro. Tra gli altri punti qualificanti emersi al tavolo di oggi, informa una nota del ministero, ci sono anche l’adozione di tecniche in grado di consentire una rapida ripartenza dello smelter, la cassa integrazione in deroga per i lavoratori dell’indotto e un incontro di approfondimento sul Piano Sulcis entro settembre.
Nel verbale stilato dal ministero al termine dell’incontro e condiviso da Regione e Provincia, il governo conferma il proprio impegno per dare “adeguata soluzione ai problemi generali del Sulcis e, in tale contesto, alla crisi generata dalla decisione di Alcoa di cessare la produzione dello stabilimento di Porto Vesme”. L’esecutivo inoltre “prende positivamente atto” delle manifestazioni di interesse pervenute finora (quella del gruppo Klesch e quella del gruppo Glencore) e auspica che si arrivi “rapidamente ad una positiva conclusione”. In questo quadro, governo e istituzioni territoriali svolgeranno un lavoro “di stimolo e sorveglianza costante, nelle forme più adeguate e opportune”.
Per quanto concerne inoltre l’attuale situazione dello smelter, il verbale recita che “il processo di spegnimento delle celle già avviato procederà in modo più graduale di quanto originariamente programmato dalla società, evitando consistenti blocchi giornalieri in precedenza previsti”. La fonderia, inoltre, resterà operativa per tutto il mese di novembre e verrà adottata, per un significativo numero di celle, una tecnica in grado di garantire l’immediata rimessa in marcia dello stabilimento, della quale Alcoa si assume l’onere economico.
I sindacati: “Ci vuole un tavolo a Palazzo Chigi”. Ma i sindacati non sono soddisfatti e invocano l’apertura di un tavolo a Palazzo Chigi. “Si conferma la scarsa attenzione che Governo e Regione riservano al nostro apparato industriale – commenta Enzo Costa, segretario generale della Cgil sarda che ha partecipato alla riunione romana – E’ urgente spostare il confronto a Palazzo Chigi per affrontare l’intera emergenza Sardegna”. La chiusura rallentata con il fermo impianti definitivo alla fine di ottobre “non è rispettosa – sottolinea Costa – del dramma sociale che l’intero territorio sta vivendo. Ancora una volta la politica rinuncia a svolgere un ruolo attivo nella gestione delle vertenze industriali: in primo piano ci devono essere il lavoro e la continuità produttiva, non solo gli ammortizzatori sociali”.
Sulla stessa linea il segretario regionale della Cisl Giovanni Matta. “Il solo modo per chiudere positivamente la vertenza Alcoa – ribadisce – è portarla, insieme con la questione industriale sarda nel suo complesso, al tavolo di Palazzo Chigi. Gli accordi-spezzatino e i tavoli settoriali si stanno rivelando inutili. L’Alcoa ha solamente rallentato di dieci giorni lo spegnimento delle celle elettrolitiche, ma non sospeso il suo piano di fermata degli impianti. Si è, dunque, a un nuovo rinvio per la vertenza – denuncia Matta -, senza indicazione da parte del Governo di percorsi certi e immediati per assicurare la continuità produttiva nello stabilimento di Portovesme”.
“Noi da qui non ce ne andiamo”. Risultati scarsi, secondo i lavoratori. Tanto che si sono verificati momenti di tensione tra gli operai e i delegati sindacali dello stabilimento, davanti al ministero. I lavoratori, insoddisfatti dal risultato della riunione, hanno urlato “noi da qui non ce ne andiamo” e “tornate dentro” ai rappresentanti sindacali. Davanti al ministero ci sono malumori e delusioni e molti operai si dicono decisi a restare ad oltranza. Durante i cori è volato anche qualche spintone. Così i manifestanti hanno di non avere la minima intenzione di abbandonare il campo. Quando i sindacalisti sono scesi a illustrare le conclusioni del tavolo è esplosa la rabbia e circa un centinaio di lavoratori ha cominciato a urlare “noi da qui non ce ne andiamo”. Gli operai dell’Alcoa sono delusi in particolare dallo spegnimento graduale delle celle: “allora tanto vale che le chiudano domani, ci dovete dire la vertia” urla una lavoratrice.
Scontri tra manifestanti e polizia, bombe carta e cariche. La vicenda Alcoa è “sbarcata” a Roma con tutto il carico di polemiche di questi giorni e le speranza di salvare i posti di lavoro ridotte al lumicino. E la tensione è stata da subito altissima. Scontri tra operai e polizia sono avvenuti durante la giornata: si sono verificati anche lanci di bombe carta e cariche delle forze dell’ordine. In serata si sono contati almeno venti feriti.
Gli scontri tra operai e poliziotti
Gli operai hanno cercato di sfondare il cordone della polizia all’altezza del ministero dello Sviluppo economico. Gli agenti hanno cercato di contenere, con cariche di contenimento, l’avanzata dei manifestanti che spingevano in massa contro lo sbarramento. Già prima i manifestanti, “armati” di tamburi e caschi che sono stati più volte lanciati a terra o contro le serrande dei negozi, avevano provato a sfidare il blocco. Diversi i cori degli operai all’indirizzo del governo: “I ministri, dove sono” e ancora “O qui arriva Monti o noi non ce andiamo”. Durante il percorso e davanti al ministero sono stati lanciati petardi e più volte manifestanti e poliziotti sono venuti a contatto. Anche tondini di alluminio sono stati scagliati verso i poliziotti, che sono a presidio dell’entrata principale di via Veneto.
Durante il lancio sarebbe rimasto lievemente ferito un manifestante. Da una prima ricostruzione, sembra che il manifestante sia rimasto ferito mentre spostava un petardo: è stato soccorso e portato in ospedale. Un altro manifestante, invece, è stato trasportato in ospedale perchè colpito da un malore. Dopo il lancio delle bombe carta sono stati chiusi gli accessi a via Molise.
Fassina contestato. A fare le spese dell’aria di tensione è stato il responsabile per l’economia e il lavoro del Pd, Stefano Fassina, aggredito da alcuni manifestanti dell’Alcoa. Fassina stava rilasciando un’intervista quando alcuni operai si sono avvicinati gridando “bastardi, ci avete deluso” e poi lo hanno spintonato. Scortato dalle forze dell’ordine, Fassina è stato costretto ad allontanarsi per poi ritornare davanti al ministero. All’esponente del Pd sono poi arrivate numerose attestazioni di solidarietà, Italia dei Valori compresa.
Fassina contestato dai lavoratori
La “spedizione” sarda. Alcuni lavoratori sono sono partiti da Cagliari all’alba in aereo e circa 500 lavoratori sono partiti ieri pomeriggio da Portovesme per Olbia dove si sono imbarcati sul traghetto. Con loro anche sindacalisti, e rappresentanti del territorio, dai sindaci a consiglieri comunali, ma anche pastori, commercianti, agricoltori, uniti per salvare una delle unità produttive maggiori del Sulcis. Ieri sulla nave si è dormito poco e l’ansia per l’incontro al Mise è cresciuta. La multinazionale statunitense Alcoa ha deciso di sospendere l’attività nell’isola ed ha iniziato a spegnere le celle di produzione, i tempi sono quindi stretti per trovare un acquirente per lo stabilimento sardo. Si spera di avviare un negoziato concreto con due multinazionali svizzere, Glencore e Klesch, che hanno manifestato interesse ma vi sarebbero all’orizzonte anche altre due società, una cinese ed una indiana. Fra i punti in discussione il costo dell’energia per produrre l’alluminio e il personale che dovrebbe ridursi.
Ferrero (Prc): “Serve la nazionalizzazione”
Ma sono proprio i posti di lavoro che nel Sulcis si vogliono salvaguardare e con l’eventuale chiusura della fabbrica verrebbero meno circa 800 buste paga. L’esasperazione ha raggiunto livelli di guardia e due giorni fa quando una finta bomba è stata collocata sotto un traliccio di Terna poco distante dallo stabilimento di Portovesme.
Tutti i video sono di Manolo Lanaro