Ieri, è morto un uomo a Aleppo. Si chiamava Tamer Alawam. Era un regista e un poeta. Amava la cultura, le sigarette e le videocamere. Ha realizzato diversi documentari per al Jazeera e per altri canali televisivi. Tamer era un siriano fuggito dal paese. Vi faceva ritorno per filmare quello che accadeva, dandoci la possibilità di vedere la realtà. Era uno di quei giornalisti che, secondo il regime di Assad, falsificavano i video per fare propaganda contro il governo.
Per qualche giornalista occidentale, invece, era un fornitore di materiale “inverificabile”. Tamer è morto, questa è una certezza, ucciso da un razzo sparato dai lealisti. I suoi ultimi istanti di vita, mentre i medici tentavano di salvarlo con un massaggio cardiaco, sono stati filmati, così da trasformare la sua morte in una testimonianza. Vi racconto la storia di questa persona perché lo conoscevo. Sul mio computer ci sono registrate le nostre conversazioni. Posso ascoltare la sua voce: quella di un uomo che non c’è più.
La morte è questo: assenza. Oggi qualcuno manca. Una persona che conoscevo e voi invece no. Per questo motivo a me interessa ricordare chi era. Non voglio che la sua scomparsa diventi un numero, in un elenco di qualche giornale, e che gli venga sottratta la sua storia esistenziale. Qualche giorno fa, vi ho parlato di un altro regista, Orwa Nyrabia, arrestato all’aeroporto di Damasco il 23 agosto. Non lasciamo che il destino di Nyrabia si unisca a quello di Tamer.
Attenzione, il video di seguito potrebbe urtare la vostra sensibilità