Lo scritto del Direttore Padellaro mi induce una riflessione; c’è qualche cosa che mi stona in quelle parole. C’è un sapore di superiorità che è cosa ben diversa dalla attenzione ai cambiamenti. C’è, in buona sostanza, la certezza di essere nel giusto e che i cambiamenti siano tali a patto che confermino le nostre idee.
Le ragioni per cui, moltissime persone, invocano il cambiamento di mentalità, di prassi, di prospettive non credo sia necessario esaminarle. Esistono e sono ben motivate. Ciò che ritengo più interessante analizzare riguarda, al contrario, le dinamiche del cambiamento, le forze in gioco e, in ultima analisi il modello di adesione al cambiamento.
Ed allora mi domando se anch’io, nell’indubbio privilegio di scrivere su un giornale, faccio del mio meglio per accompagnare, raccontare o esprimere le nostre opinioni su questo cambiamento. E soprattutto quali forze in gioco devono cambiare.
Non tutto è riconducibile solo alla politica. La magistratura, parte della quale è stata omaggiata ieri di 150.000 firme, deve cambiare o no? Io ritengo di si ed è uno dei motivi per cui non ho mai aderito incondizionatamente alle visioni agiografiche dei magistrati perennemente dalla parte dei buoni. Il giornalismo, altra forza in gioco e non da poco, deve cambiare? Penso di si, dal momento che abbandonate le parrocchie politiche sono ben poco disposto a frequentare le parrocchie dell’informazione.
Eppure, io che dissento non poche volte da opinioni e articoli del Fatto Quotidiano, ritengo di non avere il collare. Ritengo di sentirmi libero nelle riflessioni e di fare la mia parte in qualità di cittadino.
Ridurre la realtà a compartimenti stagni che si muovono incuranti del pensiero altrui (che magari, talvolta è meglio del nostro ) non mi sembra rappresenti un cambiamento, o quanto meno un buon cambiamento. Ed è un ragionare a comportamenti stagni, anche il solo limitare il cambiamento a settori della società, ignorando l’assunto sistemico per cui se cambia un elemento del sistema il mutamento incide su tutto il sistema.
Dopo tanti anni di fascisti e comunisti, magistrati buoni o magistrati cattivi, di piddini o grillini, di ladri o onesti sarebbe, buon cambiamento, abbandonare l’idea che chi non la pensa come te lo fa per interesse personale o perché legato, dal collare, a qualche potentato finanziario o economico. Che ci sono, intendiamoci, e che hanno loro uomini e donne. Ma non riassumono, questi numeri, l’intera società. E, mia personale convinzione, nemmeno l’intera classe dirigente.