Jila Bani Yaghoob, reporter freelance e redattrice capo di Kanoon Zanan Irani, un sito per la difesa e la promozione dei diritti delle donne, è rientrata il 2 settembre nel carcere di Evin, nella capitale Teheran, per scontare una condanna a un anno di detenzione emessa nel giugno 2010 per i reati di “propaganda contro il sistema” e “offesa al presidente”. Al termine della pena, seguiranno 30 anni di interdizione dalla professione giornalistica.
Premio “Coraggio nel giornalismo” dell’International Women’s Media Foundation nel 2009 e premio “Libertà di stampa” di Reporter senza frontiere nel 2010, Jila Bani Yaghoob era stata già processata e assolta tre volte per i medesimi capi d’accusa. Nell’aprile 2011 era stata ulteriormente incriminata per “avere un blog personale senza autorizzazione governativa”.
Nel 2009, poco dopo la contestata rielezione del presidente Mahmoud Ahmadinejad, Jila Bani Yaghoob era stata arrestata insieme al marito, Bahman Amou’i, anch’egli giornalista. Era stata rilasciata dopo due mesi. Bahman Amou’i sta invece scontando una condanna a cinque anni di carcere per “riunione e collusione con l’intento di danneggiare la sicurezza nazionale”, diffusione di propaganda contro il sistema”, “minaccia alla pubblica sicurezza” e “offesa al presidente”.
Jila Bani Yaghoob va ad aggiungersi ad altre donne in carcere in Iran per reati di opinione. Martedì scorso è entrata nel suo terzo anno di prigionia Nasrin Sotoudeh, avvocata e attivista per i diritti umani. Sta scontando una condanna a sei anni di carcere (ridotta in appello, dopo che in primo grado gliene erano stati inflitti 11) per “atti contro la sicurezza nazionale” e “propaganda contro il sistema”. Le è stato anche imputato di far parte del Centro per i difensori dei diritti umani, un organismo fondato dal Nobel per la pace Shirin Ebadi, di cui è stretta collaboratrice. Al termine della pena le sarà inibito l’esercizio della professione legale per 10 anni.
Del Centro per i difensori dei diritti umani faceva parte, fino al momento dell’arresto, anche Narges Mohammadi. Nei suoi confronti, stesse accuse e stessa condanna, in primo e secondo grado, di Nasrin Sotoudeh. In carcere, dove è entrata il 21 aprile di quest’anno, le sue condizioni di salute sono peggiorate (dal 2010, quando trascorse un altro periodo in carcere, soffre di paralisi neuromuscolari temporanee), al punto che il 31 luglio le autorità hanno disposto la sua scarcerazione su cauzione per motivi di salute.
Su cauzione è stata rimessa in libertà, all’inizio di luglio, anche Nazanin Khosravani, 35 anni, giornalista che collabora con varie testate riformiste. Era in prigione da marzo. La condanna nei suoi confronti (sei anni per “raduno illegale e cospirazione contro la sicurezza nazionale” e “propaganda contro il sistema”) rimane in piedi.
Resta in carcere, invece, Mahsa Amrabadi, moglie del reporter Masoud Bastani, a sua volta in prigione, condannata a cinque anni (di cui quattro sospesi con la condizionale) per aver rilasciato interviste e scritto articoli a sostegno del marito e in cui chiedeva il suo rilascio.
Stessa sorte per Bahareh Hedayat, attivista della Scuola di economia dell’Università di Teheran, esponente della campagna “Un milione di firme“ (per l’abolizione delle leggi che discriminano le donne) e dell’organizzazione studentesca Tahkim-e Vahdat. Ha trascorso la maggior parte degli ultimi sei anni in carcere, salvo che per pochi e brevissimi permessi temporanei. Sta scontando una condanna a nove anni e mezzo di carcere per “propaganda contro il sistema”, “interviste concesse a testate straniere”, “offesa alla Guida suprema”, “offesa al presidente”, “disturbo dell’ordine pubblico attraverso la partecipazione a raduni illegali” e “distruzione dell’ingresso e accesso illegale nell’università Amir Kabir”.
Resta poco spazio per elencare altri nomi di prigioniere di coscienza: Fereshteh Shirazi (blogger e attivista della campagna Un milione di firme), Jila Karamzadeh Makvandi (poetessa ed esponente del movimento delle Madri di parco Laleh), Fariba Kamalabadi (esponente della comunità baha’i) e Hengameh Shahidi… Nessuna di loro ha beneficiato dell’amnistia concessa alla fine del mese sacro del Ramadan dalla Guida suprema, l’Ayatollah Khamenei, ad alcune decine di prigionieri politici e di coscienza.