Il terrorismo luogocomunista è indubbiamente subdolo. Ricordate quelli che “faremo la spesa con la carriola di monetine”? Argomenti insulsi, certo, ma di grande impatto emotivo, soprattutto sulle fasce più deboli. Altrettanto impatto hanno le leggende metropolitane. La più strampalata fra quelle oggi in circolazione racconta che l’uscita dal Sistema Monetario Europeo (Sme) nel settembre del 1992, cui seguì la fluttuazione del cambio della lira, avrebbe provocato un innalzamento repentino dei tassi dell’interesse. Una cosa totalmente insensata, come i dati mostrano e come chiunque può capire, ma che adempie ad uno scopo subdolo: quello di insinuare nella mente del cittadino meno accorto, più fragile, e quindi più danneggiato dall’euro, che l’uscita dall’euro sarebbe una catastrofe, perché la rata del mutuo triplicherebbe, le cavallette ci invaderebbero, e dai rubinetti di casa sgorgherebbe sangue umano.
Prospettiva quest’ultima certo non ripugnante per alcuni governanti europei dai canini particolarmente acuminati.
Cominciamo dai fatti.
La Figura (fonte: International Financial Statistics del Fmi) mostra chiaramente come andarono le cose. I tassi di interesse cominciarono ad innalzarsi dalla primavera (nel frattempo il governo Amato in fretta e furia provvedeva a smantellare gli ultimi residui di indicizzazione salariale, al solito grido di “l’Europa chiamò”). I tassi di politica monetaria, quello ufficiale di sconto (in nero) e quello sui Bot (in rosso) raggiunsero un picco a settembre (linea tratteggiata verticale), per poi scendere.
Scendere, capito? Diminuire. Calare. Decrescere. Ridursi. Declinare. Bene: io ve l’ho detto in tutti i modi possibili. Chi ha capito ha capito, e chi non ha capito non ha bisogno di un’economista, ma di un altro specialista.
L’economista può però spiegare perché andò così. Lo Sme obbligava l’Italia a difendere il cambio della lira rispetto all’Ecu (European Currency Unit). Dopo il riallineamento verificatosi all’inizio del 1987, i paesi aderenti si erano impegnati a evitare ritocchi, nell’ipotesi, espressa all’epoca da due studiosi italiani, che ciò avrebbe reso credibili le politiche di disinflazione.
L’inflazione era attorno al 6%, ma quella tedesca era inferiore, e siccome l’effetto disinflattivo in Italia non si manifestò, il cambio attorno a 1540 lire per Ecu si rivelò presto sopravvalutato. Il saldo estero peggiorava: gli italiani importavano sempre di più, ed esportavano sempre di meno. Si offrivano molte lire (per comprare valuta straniera con la quale comprare beni stranieri), ma dal resto del mondo si domandavano poche lire (per comprare i beni italiani). Poca domanda, troppa offerta: il cambio della lira tendeva a deprezzarsi.
Per un po’ questa tendenza fu contrastata da afflussi di capitali esteri. L’impegno a mantenere il cambio fisso rassicurava gli investitori esteri, che, domandando lire per comprare titoli italiani, rendevano il cambio sostenibile. Non sono solo le aspettative di catastrofe ad autorealizzarsi. Legandosi le mani l’Italia era diventata “credibile”, e c’è sempre qualche ingenuo che pensa che la credibilità sia gratis. Invece prima o poi si paga, perché il capitale estero gratis non è (cosa che il luogocomunista regolarmente trascura).
Per tanti motivi (il fatto che il debito con l’estero continuava a crescere; il fatto che nel 1991 gli Stati Uniti andarono in recessione) questo equilibrio all’inizio del 1992 si ruppe. Gli afflussi di capitali esteri cominciarono a scemare e le pressioni al ribasso sul cambio si intensificavano. Tra l’altro, l’Italia era da poco rientrata nella banda di oscillazione ristretta del cambio e aveva liberalizzato i movimenti di capitali, il che non facilitava le cose.
La Banca d’Italia per sostenere il cambio poteva fare due cose, e le fece entrambe:
acquistare lei le lire che nessuno voleva, impiegando (secondo alcuni, dilapidando) le riserve ufficiali;
invogliare gli investitori esteri a comprare titoli in lire, alzando i tassi di interesse.
Capito bene? I tassi erano alti perché bisognava invogliare il resto del mondo ad acquistare lire (titoli in lire) in modo che la legge della domanda e dell’offerta sostenesse il cambio. Ma questo gioco non poteva durare, sia perché dava un segnale di pericolo ai mercati, sia perché aggravava il debito estero, visto che per pagare interessi più alti toccava indebitarsi sempre di più.
Alla fine, nel settembre del 1992, dovemmo lasciar fluttuare la lira.
Ora, amici cari, visto che l’innalzamento dei tassi di interesse serviva a difendere il cambio, secondo voi, quando il cambio si mise a fluttuare, i tassi di interesse cosa fecero? Scesero, ovviamente, dato che non era più necessario spingerli oltre il 18% (come nel periodo più acuto della crisi) per invogliare gli investitori ad acquistare titoli in lire, sostenendo il cambio.
Chiaro, no?
Ma allora come si fa a dire che salirono? Capisco il terrorismo, amici, se vi pagano per terrorizzare, voi fatelo, che c’entra, ognuno fa il suo lavoro, e io se è fatto bene lo rispetto. Ma almeno dite qualcosa di credibile! Che ne so? Dite che il cielo si oscurò, la siccità distrusse il raccolto, Gozilla entrò nella borsa di Milano e fece strage di risparmiatori, insomma: dite qualsiasi altra cosa. Ma non dite che quando svalutammo i tassi salirono, perché questo non è vero e soprattutto, per chi sa un minimo di economia, non è credibile.
Contrariamente a quanto dicono i nostri illuminati governanti, in economia, se una cosa non è nei numeri, semplicemente non è.
Aspetto fiducioso il prossimo…