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“Acqua, l’Onu agisca”. Appello alle Nazioni Unite dell’InterAction Council

L’acqua,o meglio la scarsità d’acqua sarà uno dei fattori di instabilità globale nei prossimi decenni. La gestione delle risorse idriche deve pertanto diventare una priorità per il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. A esortare l’Onu ad agire è l’InterAction Council, un gruppo di pressione formato da 40 leader mondiali tra ex capi di Stato e di governo.

“La scarsità delle risorse idriche potrebbe avere un impatto politico devastante”, ha spiegato l’ex primo ministro canadese Jean Chretien presentando uno studio dell’organizzazione in collaborazione con la United Nations University e Walter and Duncan Gordon Foundation. I rischi maggiori si corrono nell’Africa subsahariana, nell’Asia occidentale e nel Nord Africa, dove i problemi idrici iniziano già a farsi sentire .“Alcune di queste nazioni sono già instabili e le ripercussioni di queste crisi potrebbero estendersi a livello regionale”, spiega la ex premier norvegese Gro Harlem Brundtland, “anche nelle regioni politicamente stabili, il rischio è che la questione idrica porti prima a scossoni seguiti dalla drammatica perdita di stabilità”.

In Global Water Crisis: Addressing an Urgent Security Issue, gli autori analizzano le cause che stanno portando all’erosione della sicurezza idrica e le conseguenze che ne potrebbero derivare in termini di sanità, accesso al cibo e all’energia, e in equità sociale. Secondo le stime, un sesto della popolazione mondiale, ossia oltre un miliardo di persone non ha accesso all’acqua.

Ogni anno si utilizzano circa 3,800 chilometri cubi di acqua di laghi e fiumi. Ma con un miliardo di persone in più al mondo entro il 2025, soltanto l’agricoltura avrà bisogno di altri mille miliardi di metri cubi l’anno. Per fare un paragone sarebbe come parlare di 20 fiumi della portata del Nilo. Entro il 2030 la maggiore domanda d’acqua arriverà da Cina, India e Stati Uniti per soddisfare i bisogni dovuti alla crescita demografica, all’irrigazione e alla crescita economica. Già nei prossimi vent’anni il fabbisogno dei due giganti asiatici supererà le risorse a disposizione.

Secondo Bob Sandford la questione idrico-climatica è una bomba a orologeria. Nel suo saggio, il consulente dell’InterAction Council per le politiche di gestione delle risorse idriche si chiede già dal titolo se le prossime guerre saranno combattute per l’acqua. Sandford sottolinea come siccità prolungate e inondazioni unite al sovrappopolamento, all’esaurimento delle falde e all’inquinamento possano diventare micce per nuovi conflitti. Un problema che supererà i confini delle nazioni, continua, come già evidente in Medio Oriente in cui la sicurezza idrica è un tema chiave della pace tra palestinesi e israeliani e tra Israele e i Paesi confinanti. Sandford ricorda come, sebbene condividano gli stessi bacini dei giordani, gli israeliani consumino il doppio dell’acqua dei vicini; mentre i giordani dieci volte la quantità consumata dai palestinesi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania. Disparità che non sono ancora sfociate in conflitto, ma sono fonte di tensione geopolitica. Con l’aumento della domanda è inoltre aumentato il numero delle dighe di grandi dimensioni. Erano 500 nel 1950. Oggi sono oltre 45mila.

“All’interno dell’Onu è idea comune che i cambiamenti climatici siano legati all’acqua”, ha detto Zafar Adeel, direttore della U.N. University’s Institute for Water, Environment and Health (UNWEH) alla Reuters -Alertnet. Un-Water, il meccanismo Onu che si occupa di risorse idriche, ha organizzato per il 25 settembre un vertice dei ministri degli Esteri per discutere della questione. Non tutto, si legge nel rapporto, è però perduto. Il mondo, sottolinea Adeel, ha molte opportunità di salvaguardare le risorse e puntare su quella che definisce “economia blu”. Un esempio di politica virtuosa è una adeguata gestione delle condotte nelle quali, nei Paesi in via di sviluppo, si perde il 40 per cento dell’acqua. Il rapporto, infine, sottolinea le opportunità economiche legate al settore idrico: si parla di efficienza, riutilizzo e diversificazione delle risorse. Un business che potrebbe fare gola a molti e che si prevede possa passare dai 522 miliardi di dollari del 2007 fino a mille miliardi nel 2020.

di Andrea Pira