Mi trovo a volare l’11 settembre. Per una strana coincidenza, mi é capitato spesso in questi anni. Ho scoperto che l’11 settembre si vola meglio. In realtá non lo so se è davvero così, ma me ne sono convinta anni fa, quando, a causa di un cambio di programma, dovevo assolutamente trovare posto su un volo Chicago-Roma, tutto straprenotato da fine agosto a metà settembre, e Alitalia mi disse che bastava presentarsi in aeroporto l’11 settembre, anche senza prenotazione, e che con ogni probabilitá avrei potuto imbarcarmi perché nonostante il fully booked alla fine sarebbero rimasti certamente posti liberi quel giornoi: così fu.
Da allora la mia scaramanzia al riguardo si è dissolta, ma è vero che l’aeroporto mi sembra più vuoto oggi. In fondo non è bella l’idea di imbarcarsi su un aereo in questa data. Le immagini delle twin towers che collassano sono ancora davanti ai nostri occhi. Mentre aspetto di imbarcarmi penso con tristezza a tutte le vittime di quegli orrendi attacchi.
E penso a cosa è cambiato in questi 11 anni.
Lasciamo stare le nuove misure di sicurezza anti-terrorismo che hanno reso uno strazio le partenze in aereo, e però alle quali ci siamo in fondo abituati: camminare scalzi sotto un metal detector, essere radiografati da un body scanner mentre assumiamo la posizione dell’uomo di Leonardo, venire palpeggiati fino alla punta delle dita dei piedi, sono cose che fanno ormai parte di ogni partenza che si rispetti.
Ma lasciamo appunto stare questi aspetti secondari: come osare lamentarsi della nostra perduta dignitá di viaggiatori quando si sta fronteggiando una guerra contro il terrore globale? Peró… questo benedetto divieto di portarsi liquidi nel bagaglio a mano (anche l’olio extravergine da emigrata a Berlino? Anche questo microvasettino di pesto? Davvero non posso portare su questa marmellatina squisita che si trova solo qui?) com’è difficile da digerire!
Ma davvero, queste sono stupidaggini, divagazioni da attesa all’imbarco.
In realtá non c’è niente da ridere su quello che ci è rimasto dell’11 settembre di 11 anni fa. Il mondo è radicalmente cambiato dopo quella data. C’è un pre e un post 11 settembre. Forse noi europei lo sentiamo un pó meno, ma per milioni di persone (arabi, musulmani, …) viaggiare, studiare, trovare lavoro, semplicemente vivere in “occidente” è diventato molto più difficile. Per molti impossibile. Ho amici giordani ad esempio che erano stati accettati per studiare in universitá americane e sarebbero dovuti partire proprio quell’autunno. È diventato impossibile ottenere il visto e di conseguenza cancellata l’accettazione e loro eventuale borsa di studio. Come loro chissá quante altre persone. E chissá come sarebbe stata la loro vita se fossero potuti partire allora?
Ma ancora peggio di questo è il modo in cui l’11 settembre ha profondamente modificato i nostri meccanismi di reazione alla minaccia terroristica, a livello di tutela penale. Come affermato dall’ex- presidente americano Jimmy Carter e ricordato da Roberto Festa in un bell’approfondimento sul Fatto di oggi, l’11 settembre è stato la scusa per sospendere le più basiche garanzie costituzionali, le tutele conquistate in decenni di lotte per i diritti. Facendo ricorso alla categoria del diritto penale del nemico, se non addirittura al paradigma di guerra che annulla lo stato di diritto (quale, per altri versi, gli Stati Uniti sono), i sospetti terroristi – nemici pubblici senza possibilità di smentita – sono stati privati di ogni tutela giuridica.
Da qui le aberrazioni di Guantanamo, le torture (espressamente o tacitamente) legittimate ai massimi livelli, le extraordinary renditions, ossia il rapimento di sospetti terroristi sul territorio di paesi terzi per essere “consegnati” nelle mani di esperti torturatori in prigioni o black sites ubicati in paesi notoriamente avvezzi a tali pratiche. Fino a giungere all’omicidio mirato di Osama Bin Laden, in realtá una esecuzione extragiudiziale contraria al diritto internazionale.
A 11 anni dall’11 settembre mi pare insomma che rimanga un compito difficilissimo da svolgere a livello globale: ricondurre la lotta al terrorismo internazionale ai paradigmi del diritto penale, delle garanzie costituzionali, del necessario rispetto dei diritti fondamentali, anche dei sospetti terroristi – tra i quali peraltro sempre si trovano degli innocenti.
Per fortuna in Italia, nonostante le nostre politiche, sono la maggioranza i giuristi che non hanno mai abbassato la guardia in questo senso. Non a caso l’Italia è l’unico paese, finora, ove si è giunti ad una condanna penale riguardante le extraordinay renditions, nel caso del sequestro dell’imam Abu Omar a Milano ad opera della Cia con la connivenza dei servizi segreti italiani.