Le indagini, che hanno portato all'arresto di 37 affiliati, sono scaturite da un'altra operazione contro l'associazione mafiosa nella regione, denominata "Crimine": secondo gli investigatori hanno consentito di documentare le dinamiche criminali, il loro solido legame con le cosche di origine ed il controllo delle aree di influenza. Trovato bunker
Lo ripete da tempo Ilda Boccassini, procuratore aggiunto della Dda di Milano, gli imprenditori non denunciano. E anche oggi il magistrato, alla conferenza stampa per l’arresto di 37 affiliati alla ‘Ndrangheta, ribadisce che continua ad esserci scarsa collaborazione da parte degli imprenditori lombardi nella lotta alla criminalità organizzata. Quello degli imprenditori vittime di estorsioni e intimidazioni è “un dato inquietante che permane sin quando la classe imprenditoriale non capirà che stare con lo Stato è più pagante che stare con l’anti – Stato”.
Questa mattina i carabinieri del comando provinciale e del Ros di Milano hanno eseguito 37 ordinanze di custodia cautelare nell’ambito di un’operazione, denominata “Ulisse”. Nei provvedimenti d’arresto, emessi su richiesta della procura Distrettuale antimafia di Milano, vengono contestati i reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, porto e detenzione illegale di armi, usura ed estorsione. Le indagini sono scaturite da un’altra operazione contro l’associazione mafiosa nella regione, denominata “Crimine”: secondo gli investigatori hanno consentito di documentare le dinamiche criminali della ‘Ndrangheta in Lombardia, il loro solido legame con le cosche di origine ed il controllo delle aree di influenza attraverso il ricorso alla violenza e alla intimidazione. Che però non vengono denunciate agli inquirenti. Paradigmatica, secondo Boccassini, la vicenda degli imprenditori Daniele e Antonio De Masi, che vivono e lavorano in Lombardia. Dopo la morte del fratello Orlando, in un incidente stradale dell’agosto 2010, si affiliano alla ‘ndrina in Calabria e raccolgono l”eredita” del fratello nella custodia dell’arsenale della ‘ndrina. “E’ un fatto che ci ha incuriosito e inquietato e va valutato nella sua drammaticità – dice Boccassini – si tratta di imprenditori incensurati, che producono e chiedono di affiliarsi dopo la morte del fratello”.
“In dibattimento hanno negato di essere vittime della ‘ndrangheta, ma l’inchiesta, che ha portato a 37 ordinanze di custodia cautelare a carico di presunti affiliati, ha fatto emergere che, invece, hanno dovuto pagare‘mazzette’ all’organizzazione criminale”. Le bugie degli imprenditori sono state sottolineate da uno dei titolari dell’indagine, il pm della Dda di Reggio Calabria, Alessandra Dolci: “Nel processo ‘Crimine’, hanno negato di avere pagato alcunche’ alle cosche. Ora i tre collaboratori, Belnome, Panajia e Cappello, dicono che le mazzette, anche di 400mila-500 mila euro, sono state pagate. Sono curiosa di vedere ora cosa diranno questi imprenditori. Senza la collaborazione dei cittadini queste indagini diventano difficoltose
L’elemento più “importante” è , secondo il pm Ilda Boccassini, la collaborazione offerta agli inquirenti da Michael Panajia, già imputato nel processo per l’omicidio di Carmelo Novella, il boss che fu punito perché voleva diventare indipendente dalla Calabria. “Il fatto che un altro imputato, dopo Antonino Belnome e Saverio Cappello, entrambi della ‘locale’ di Giussano, si arrenda allo Stato – afferma Boccassini – è il dato che ci dà più soddisfazione. Gli imputati, in questi casi, si trovano di fronte a una scelta. Le ragioni per le quali fanno questa scelta non sono importanti, il nostro dovere è affrontare con spirito laico chi decide di fare un contratto con lo Stato e, per l’ideologia della Procura milanese, ha molti doveri e pochi diritti. All’inizio – aggiunge il pm – non eravamo convinti della sua collaborazione, parlava di persone con cui aveva avuto rapporti di amicizie nel passato, poi le sue dichiarazioni sono state riscontrate”.
“In dibattimento hanno negato di essere vittime della ‘ndrangheta, ma l’inchiesta, che ha portato a 37 ordinanze di custodia cautelare a carico di presunti affiliati, ha fatto emergere che, invece, hanno dovuto pagare ‘mazzette’ all’organizzazione criminale”. Le bugie degli imprenditori sono state sottolineate anche da uno dei titolari dell’indagine, il pm della Dda di Reggio Calabria, Alessandra Dolci: “Nel processo ‘Crimine’, hanno negato di avere pagato alcunche’ alle cosche. Ora i tre collaboratori, Belnome, Panajia e Cappello, dicono che le mazzette, anche di 400mila-500 mila euro, sono state pagate. Sono curiosa di vedere ora cosa diranno questi imprenditori. Senza la collaborazione dei cittadini queste indagini diventano difficoltose”. A conferma della penetrazione della criminalità organizzata calabrese in casa di uno degli arrestati, Antonio Stagno, a Giussano nel Milanese “è stato rinvenuto un bunker simile a quelli che vediamo a San Luca o a Platì, che si apriva col telecomando ed aveva una parete mobile”.