Era un gruppo di sovversivi, ma non per terrorismo. Arriva un sì alla riduzione delle condanne per gli imputati al processo milanese delle Nuove Br.La loro, secondo i supremi giudici, fu un‘associazione sovversiva senza finalità di terrorismo. La sezione feriale penale della Cassazione ha confermato quindi la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Milano emessa il 28 maggio scorso a carico di dodici persone.
Per undici imputati, dunque, la condanna diventa definitiva: la pena più alta è quella inflitta a Claudio Latino, che dovrà scontare 11 anni e mezzo di reclusione. Confermata anche l’assoluzione di Salvatore Scivoli. La Suprema Corte ha così dichiarato inammissibile sia i ricorsi presentati dagli imputati, sia quello della Procura Generale di Milano, che chiedeva pene più alte e il riconoscimento della finalità di terrorismo. A differenza di quello che avevano stabilito i giudici d’appello che avevano escluso l’aggravante dopo un rinvio della Cassazione. “Armi per fare la politica e non per fare la guerra“ era stato il ragionamento. Le nuove Brigate rosse, secondo i magistrati, progettavano “plurimi attentati” che erano però “caratterizzati” da “violenza generica e non terroristica”. Ora la Cassazione, confermando la sentenza di maggio, riconosce queste motivazioni. Il gruppo aveva una “visione politica” sovversiva e la strategia era appunto di usare le “armi per fare politica e non per fare la guerra”. Nelle motivazioni di quel verdetto i giudici milanesi avevano scritto che “mentre il delittuoso disegno eversivo traspare in modo palese” dai progetti di attentati, verso obiettivi umani e non, e dal foglio clandestino, chiamato ”Aurora”, non si coglie però “il riferimento a strategie sorrette dalla finalità terroristica nei termini definiti dalla Cassazione (che aveva appunto annullato la prima sentenza d’appello e rinviato gli atti a Milano per il processo bis proprio per ragionare sulle modalità della violenza del gruppo, ndr)”. Soprattutto dall’azione dei presunti brigatisti si evince che questi avevano “obiettivi di elezione, funzionali ad attivare meccanismi di coesione di classe e di eventuale emulazione”, ma non volevano compiere “azioni violente polidirette”. Ossia nei loro piani “la popolazione non verrà intimidita strumentalmente”. Per questo, in sostanza, cadeva l’accusa di terrorismo. Che oggi la Cassazione ha confermato.
Era stata proprio la Cassazione, nello scorso mese di febbraio, ad annullare la prima sentenza d’appello rinviando il caso davanti ai giudici milanesi affinché verificassero in modo più puntuale la contestazione agli imputati della finalità terroristica. Il processo era scaturito da un’inchiesta dell’aggiunto milanese Ilda Boccassini, che aveva portato nel 2007 a numerosi arresti nel nord Italia: i presunti appartenenti alle nuove Brigate Rosse erano accusati di aver cercato di progettare alcuni attentati, tra cui uno al giuslavorista ed esponente del Pd Pietro Ichino, per il quale i giudici hanno stabilito un risarcimento di 100mila euro. Parte civile nel processo anche la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che sarà risarcita con 400mila euro. Gli imputati condannati oggi dovranno anche pagare le spese processuali e rifondere quelle sostenute da Ichino. Oltre a Claudio Latino, sono stati oggi condannati in via definitiva Davide Bortolato (11 anni di reclusione), Alfredo Davanzo (9 anni), Bruno Ghirardi (8 anni), Massimiliano Toschi (7 anni), Vincenzo Sisi (10 anni), Massimiliano Gaeta (5 anni e 3 mesi), Andrea Scantamburlo (2 anni e 4 mesi), Amarilli Caprio, Alfredo Mazzamauro e Davide Rotondi (2 anni e 2 mesi di reclusione). Il collegio presieduto da Antonio Agrò ha dunque condiviso le richieste avanzate nel corso dell’udienza di oggi dal sostituto pg Federico Sorrentino, che aveva chiesto la conferma delle condanne pronunciate in sede di appello bis.