E' stato un 11 settembre caldo all'ambasciata americana al Cairo: manifestazioni fino a tarda notte al grido di "Obama, Obama, we are all Osama". "Quella pellicola è offensiva - dice una delle persone in piazza - La libertà di culto per noi è più importante della libertà di espressione"
E’ stato un 11 settembre caldo all’ambasciata americana del Cairo. Circa un migliaio di salafiti hanno protestato sino a tarda notte contro la diffusione di Innocence of Islam, un film diretto e prodotto da Sam Bacile, uomo d’affari israelo-americano noto per le sue critiche contro la religione islamica. Alla produzione dell’opera, di cui sono già disponibili alcune parti su youtube, avrebbe contribuito anche Terry Jones, il reverendo della Florida noto per aver bruciato nel 2009 alcune copie del Corano.
La vicinanza del film con il reverendo Jones e le scene diffuse su youtube, che rappresentano Maometto come un uomo dedito ai vizi e incline alla pedofilia, hanno scatenato l’ira di molti esponenti dell’ala islamica più estrema. Alcune decine di manifestanti hanno strappato la bandiera americana, issata nell’ala est del muro di recinzione dell’ambasciata, sostituendola con la bandiera islamica con i primi versi del Corano.
Al presidio sono stati rispolverati anche diversi slogan anti americani. “Obama, Obama, we are all Osama” gridavano i manifestanti, mentre nei muri e nella strada adiacente all’ingresso dell’ambasciata comparivano diverse scritte antiamericane tra cui “Obama, qua ci sono un miliardo e mezzo di Osama Bin Laden”.
“Questo film è offensivo verso la nostra religione – spiega Ayoub, 50 anni – la libertà di culto per noi è più importante della libertà di espressione”. Per Mohammed, giovane esponente degli ultras che hanno partecipato alla protesta, il film “deve essere subito rimosso per il rispetto della nostra religione”.
L’umore “al qaedista” della protesta è stato avvalorato anche dalla presenza di Mohammed al Zawahiri, fratello di Ayman, numero uno di Al Qaeda. Al Zawahiri – che è stato scarcerato nel marzo 2011 dopo aver scontato 10 anni per atti terroristici – sta diventando una presenza abituale delle proteste salafite cairote (la sua ultima apparizione era stata lo scorso maggio nel sit in contro l’esclusione alle elezioni presidenziali di Abu Ismail, candidato islamico radicale).
La protesta di ieri al Cairo però, che resta ben lontana dalle violenze accadute al consolato di Bengasi in Libia, desta preoccupazione per la sua carica simbolica che rischia di rallentare i rapporti tra Egitto e Stati Uniti, che con circa un miliardo e mezzo di aiuti l’anno restano uno dei più importanti partner finanziari del governo egiziano.
E l’imbarazzo è tangibile anche di fronte al silenzio del presidente Mohammed Morsi che proprio la scorsa settimana era riuscito ad ottenere da Washington un condono di 1 miliardo di dollari sul debito e nuovi investimenti da parte delle imprese americane (una delegazione di industriali americani è da ieri in visita al Cairo).
Il pragmatismo economico forzato di Morsi – impegnato in una corsa contro il tempo per il salvataggio delle casse dello Stato – e l’avversione conclamata di una parte del suo elettorato verso gli Stati Uniti restano, dunque, una delle più grandi sfide del suo nuovo mandato.