La Cnn conferma: la manifestazione contro il film su Maometto (per il quale protesta tutto il mondo islamico) era solo un "diversivo. Nell'attacco sono morti anche un secondo funzionario e due marines. Il gruppo islamico Ansar Al-Sharia: "Non c'entriamo, ma ci congratuliamo"
La sede diplomatica degli Stati Uniti a Bengasi, in Libia, è stata attaccata ieri sera: sono rimasti uccisi l’ambasciatore americano in Libia Chris Stevens, insieme a un altro funzionario dell’intelligence Usa e due marines. Alcune fonti sostengono che le vittime potrebbero arrivare anche a 13 e tra questi ci sarebbero anche alcuni autori dell’attentato. Ma le notizie sono contrastanti sul punto. L’ambasciatore Stevens è morto dopo 90 minuti di tentativi di rianimarlo, non presentava ferite ed è morto per asfissia, secondo quanto riferito dal medico che lo ha soccorso ad alcuni giornali locali.
L’attacco, inizialmente attribuito alle proteste contro il film L’innocenza dell’Islam, il cui trailer, diffuso su youtube, aveva già scatenato le proteste in Egitto, è stato rivendicato questa mattina da alcuni siti Qaedisti come “una reazione della milizia Ansar Al-Sharia alla conferma della morte di Abu al-Libi“, numero 2 di Al Qaida, arrivata ieri da Ayman al Zawahiri. Il 5 giugno gli Usa avevano confermato la morte e la stessa sera una bomba era esplosa proprio alla sede Usa a Bengasi. Ma se da una parte il gruppo islamico ha negato, secondo la Bbc, il coinvolgimento nell’assalto, dall’altra la Cnn cita funzionari Usa spiegando che l’attacco alla sede Usa era “stato pianificato da al Qaida” e il film su Maometto “è stato un diversivo”.
Al Qaida, spiega l’emittente americana, ha “usato la protesta davanti alla sede Usa di Bengasi come diversione, l’attacco era stato pianificato prima”, scrive la Cnn citando un “alto funzionario dell’amministrazione statunitense”. Un altro funzionario racconta che l’ambasciatore stava tentando di fuggire dalla sede, per evitare la folla inferocita e scampare alle fiamme.
Fonti interpellate dall’agenzia Ansa avevano già sminuito il ruolo della protesta contro il film e attribuito l’attacco alla milizia islamica Ansar Al-Sharia. Tesi, questa, confermata anche dal console italiano a Bengasi, Guido De Sanctis: “Si è trattato di una azione più militare, un attacco iniziato senza che fosse preceduto da alterchi o slogan di protesta. Il luogo inoltre non è uno di quelli in cui si organizzano di solito le manifestazioni, è fuori città”. Ma il gruppo islamico ha smentito.
Nega ogni coinvolgimento formale nell’assalto, ma si “congratula” con coloro che hanno portato a termine l’attacco. “Bisogna rispondere con forza e determinazione a questa aggressione”, ha detto un portavoce. “Come organizzazione militare la Brigata non ha partecipato ufficialmente (all’azione) ma ha soltanto preso posizione” in difesa del Profeta.
Come conseguenza dell’attentato, la prima seduta del Congresso generale nazionale libico, che era in programma per oggi, è stata annullata. Lo si apprende a Tunisi, dove sta facendo rientro il presidente della repubblica, Moncef Marzouki, che avrebbe dovuto presenziare alla seduta inaugurale dell’assemblea.
La dinamica – “Un botto, poi fumo e scambi di colpi di armi da fuoco” ha raccontato uno dei testimoni sul posto. L’edificio, finito sotto assedio, è un un compound abbastanza grande e si trova a poche centinaia di metri di distanza da ristoranti e caffè da dove, “a partire dalle 21.40 circa” gli avventori hanno assistito a distanza all’episodio. Secondo alcuni testimoni “le strade adiacenti sono state chiuse rapidamente e quasi subito sono stati formati anche dei blocchi nella zona”. Lo scambio di colpi di arma da fuoco è stato udito per circa 45 minuti, anche se non in maniera continuata, “mentre il fumo è rimasto visibile per una ventina di minuti”. Tutte e quattro le vittime, secondo una prima ricostruzione, sarebbero rimaste uccise dai fumi dell’incendio divampato nell’attacco. Ma secondo le ultime testimonianze, l’attacco sarebbe stato molto più simile ad un intervento militare che a una protesta spontanea degenerata. Secondo l’agenzia Reuters, che cita una fonte libica, l’ambasciatore e tre cittadini americani sarebbero infatti sopravvissuti all’incendio. Stavano viaggiando in auto per trovare un luogo più sicuro dopo l’assalto notturno al consolato quando il loro mezzo è stato centrato da un razzo.
E nell’attacco non sarebbe da escludere un coinvolgimento dei sostenitori dell’ex leader libico Muammar Gheddafi. Questa almeno l’opinione del sottosegretario libico agli Interni, Walis al-Sharif, intervenuto in conferenza stampa a Tripoli. Quanto alla dinamica, il personale della sicurezza del consolato americano a Bengasi avrebbe aperto il fuoco contro i manifestanti radunatisi nei pressi dell’edificio ieri sera e questo avrebbe reso il clima più teso, spingendo i manifestanti ad attaccare. Secondo il sottosegretario, il consolato americano era stato avvisato della presenza di uomini armati tra i manifestanti.
Lo staff del consolato Usa era stato trasferito dalla sede diplomatica dopo l’attacco in cui è morto l’ambasciatore americano in una casa considerata sicura, ha aggiunto al Sharif. Nel frattempo, ha spiegato, un aereo della sicurezza americana era arrivato da Tripoli per evacuare tutto il personale dalla ‘casa-rifugio’ che è stata però scoperta dai miliziani. “Doveva essere un luogo segreto e siamo rimasti sorpresi che i gruppi armati ne siano venuti a conoscenza. C’è stata una sparatoria” in cui sono morti i due membri della sicurezza americana, ha concluso. Incerto il numero dei feriti, tra 12 e 17.
Due dei quattro americani uccisi sono morti in una sparatoria avvenuta in una casa considerata sicura dove era stato trasferito lo staff del consolato dopo l’assalto, ha detto al Sharif. La sparatoria nella “casa-rifugio” è avvenuta durante il tentativo delle forze americana di evacuare tutto il proprio personale.
Il video dell’attacco trasmesso dal sito del Guardian
“L’innocenza dei musulmani” – Il film, che ha scatenato polemiche e proteste è stato girato da un israeliano-americano, Sam Bacile. In Egitto, tuttavia, la percezione nei media, aizzati dai predicatori salafiti sui canali satellitari, è che il film sia stato girato da egiziani copti che vivono negli Stati Uniti. Intanto, il regista si sarebbe rifugiato in un luogo segreto. Parlando al telefono con l’agenzia Associated Press da una località sconosciuta, Bacile ha ripetuto che “l’Islam è un cancro” e che il suo film è una provocazione politica di condanna alla religione musulmana. Bacile, immobiliarista 56enne in California, si presenta come un ebreo israeliano e ritiene che il suo film aiuterà la sua terra d’origine nel mettere in luce le colpe dell’Islam.
Il film, che dura due ore, è costato 5 milioni di dollari finanziati con l’aiuto di oltre 100 donatori ebrei. Un trailer di 13 minuti postato su YouTube mostra un cast amatoriale che descrive Maometto come un impostore e donnaiolo impenitente, favorevole anche alla pedofilia. Non pago della rabbia scatenata in Egitto e in Libia dal suo lavoro, Bacile – pur dicendosi dispiaciuto per la morte del diplomatico americano – mette in dubbio la sicurezza delle legazioni diplomatiche americane. “Ho la sensazione che il sistema di sicurezza (nelle ambasciate) non sia buono, l’America dovrebbe far qualcosa per migliorarlo”. Il film è stato doppiato in arabo da qualcuno che Bacile non conosce, ma il regista parla abbastanza l’arabo per poter dire che la trascrizione è accurata. La pellicola è stata realizzata in tre mesi nell’estate del 2011, con 59 attori e 45 persone dietro la telecamera. Il lungometraggio – ha concluso infine Bacile – è stato mostrato al pubblico una sola volta nei mesi scorsi, in un teatro di Hollywood semivuoto.
Chi è Chris Stevens