Tenere unita la zona euro è nell’interesse della Germania, l’ex malato d’Europa si ricordi da dove viene e dia tregua alla Grecia. Su questo filone,  in un lungo intervento pubblicato oggi sul quotidiano economico tedesco Handelsblatt l’ex cancelliere Gerhard Schroeder (Spd) ricostruisce il cammino percorso dalla Germania dal 1998, anno in cui Schroeder venne eletto per la prima volta e periodo in cui la Germania veniva considerata il “malato d’Europa”, fino ai giorni nostri. L’analisi è certamente di parte, visto che Schroeder è stato cancelliere per ben due mandati (8 anni) e molte delle decisioni di politica economica sono state prese proprio da lui, ma ciò nonostante il suo contributo aiuta a inserire la cronaca di questi giorni in un quadro di lungo periodo, un’operazione molto utile per capire più a fondo quanto sta accadendo oggi nella zona euro.

Dieci anni fa, a livello internazionale, la Germania veniva considerato un Paese con grossi problemi strutturali che ne impedivano lo sviluppo. La crescita economica debole, l’indebitamento alto e il mercato del lavoro caratterizzato da un alto tasso di disoccupati di lungo periodo. L’economia tedesca non era competitiva a livello internazionale e la Germania era descritta come il “malato d’Europa”. Sono stato eletto nel 1998 perchè avevo promesso di realizzare le riforme che erano rimaste ferme nell’era di Helmut Kohl (quattro mandati consecutivi, 16 anni). Abbiamo così rivitalizzato lo “stanco capitalismo renano”. Negli ultimi dieci anni la Germania ha intrapreso un percorso di ammodernamento come nessun altro Paese in Europa. Oggi siamo una società che ha capito che deve affrontare le sfide della globalizzazione e dello sviluppo demografico e che lo sa fare con successo.

Il maggior risultato dell'”Agenda 2010″ (così Schroeder chiamò il suo programma di riforme, ndr) è stato il cambio di mentalità. L’attuale forza economica della Germania non è però dovuta esclusivamente all'”Agenda 2010″. Ci sono altri importanti fattori che hanno giocato un ruolo importante: le imprese tedesche hanno reso più agili le loro strutture e hanno aumentato la flessibilità. I sindacati e le conferazioni degli industriali, che per tanto tempo sono state considerate dei “cartelli delle tariffe e dei prezzi”, hanno mostrato responsabilità su temi come aumento dei salari, orari di lavoro, crescita e occupazione. Inoltre le decisioni politiche della Grande Coalizione (Cdu-Spd) nella crisi del biennio 2008-2009 sono state azzeccate soprattutto in fatto di stimolo all’economia, ricapitalizzazione delle banche e aiuto ai lavoratori. Non esiste un altro Paese che in fatto di produzione dispone di conoscenze scientifiche e tecnologiche come la Germania.

Abbiamo un struttura di medie imprese molto forte, che è orientata all’export. In Germania esistono 1400 aziende che sono leader mondiali nelle loro rispettive nicchie. La decisione di puntare con convinzione sulla produzione industriale ci ha distinto da altri Paesi. La Gran Bretagna, per esempio, ha preso la decisione politica di abbandonare l’industria per concentrarsi sui servizi finanziari. In Germania l’industria dà un contributo al Pil pari al 24%, contro il 16% inglese e il 12% della Francia. Le riforme dell'”Agenda 2010″ hanno avuto un effetto positivo soprattutto sul mercato del lavoro. Le riforme Hartz hanno fatto sì che le riprese dell’economia portassero maggiori benefici che in passato sull’occupazione. La disoccupazione di lunga periodo è diminuita significativamente. Negli altri Paesi della zona euro, invece, il numero dei senza lavoro è al livello più alto dall’introduzione della moneta unica. In Spagna la disoccupazione giovanile è al 50%, in Italia al 30% e in Francia al 20%. In Germania siamo invece all’8%. Dal 2005 a oggi questa dato percentuale si è dimezzato. I giovani sono cosi’ richiesti sul mercato del lavoro come non accadeva dagli anni Sessanta.

Questa situazione non ci è caduta addosso come manna dal cielo ma è il risultato di riforme anche dolorose. Non mi sottraggo però all’analisi dei punti critici delle riforme Hartz (mercato del lavoro, ndr), come per esempio i salari minimi nei singoli settori. Il fatto che siano stati così ridotti è dovuto alla necessità di affrontare la concorrenza dei mercati emergenti. Le riforme hanno comunque contribuito a ingrandire il mercato del lavoro, consentendo così l’ingresso nel mondo del lavoro anche ai lavoratori meno qualificati. Si può anche discutere di un salario minimo unico, visto che risponderebbe anche a un’esigenza di giustizia sociale, bisogna però tener presente del fatto che se fosse troppo basso sarebbe inutile e se fosse troppo alto andrebbe contro il principio che il lavoratore con la sua produttività deve giustificare il costo del suo posto. L’esperienza inglese della “Low Pay Commission” dimostra che è possibile raggiungere dei buoni risultati. Quando ascolto i dibattiti al Bundestag ho l’impressione che ci si sieda troppo sugli allori del passato.

Chi osserva l’osserva l’operato del governo Merkel giunge alla conclusione che non si stia facendo molto. E proprio questa la cosa pericolosa: adesso non c’è nessuna urgenza di fare nuove riforme. Però le riforme che ho realizzato io hanno dimostrato che intercorre sempre un lasso di tempo fra il varo di riforme dolorose e il realizzarsi dei loro effetti positivi. Possono passare anni, periodo in cui il politico è costretto a correre il rischio di non essere rieletto. Nonostante ciò sono necessarie nuove riforme: si potrebbe introdurre un’Agenda 2020. E’ necessario confrontarsi con i problemi del sistema previdenziali e bisogna aumentare gli investimenti in ricerca e innovazione. Altri campi che necessitano di intervento sono quello fiscale e quello energetico. Nel settore scolastico bisogna dare maggiori chanche ai figli degli immigrati sia per un questione di uguaglianza sia per andare incontro alle future necessità di mano d’opera qualificata.

L’esperienza accumulata con l'”Agenda 2010″ porta alcuni insegnamenti anche per quel che riguarda la crisi dell’euro. La politica deve avere il coraggio di varare riforme impopolari. La Germania ha già fatto molto, adesso anche gli altri Paesi europei devono sviluppare i loro programmi di riforme. Inoltre in Europa c’è urgente bisogno di un coordinamento economico e di politica finanziaria. Questo è il presupposto su cui una vera unione monetaria. Sappiamo che le riforme strutturali funzionano solo in presenza di impulsi per la crescita. Grecia, Irlanda, Portogallo, Italia e Spagna hanno fatto notevoli progressi. La loro situazione economica e politica mostra però che l’austerity da sola non serve a superare la crisi. Anzi, si rischia che l’economia venga strozzata dai tagli. Questo sta già succedendo in Grecia.

In due anni Atene ha alzato le tasse e tagliato le spese nell’ordine di 20 punti del Pil. Entro il 2014 saliranno al 30%. Questi tagli non li può sopportare nessuna società e nessun governo. Per questo motivo i partner europei dovrebbero concedere più tempo alla Grecia. Bisogna accogliere con favore anche il piano di acquisto di bond della Bce. Il governatore Mario Draghi ha preso una decisione saggia. Il programma prevede infatti che chi riceve il sostegno dell’Eurotower debba chiedere aiuto a Bruxelles. Questo significa che gli acquisti vanno di pari passo con riforme e tagli alla spesa. Tenere unita la zona euro è nell’interesse della Germania. Solo un’Europa unita ha la possibilità di reggere la concorrenza degli Stati Uniti e della Cina. Più Europa è la migliore risposta alla globalizzazione.

Traduzione a cura di Giorgio Faunieri

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