Le squadre di soccorso sono ancora al lavoro nell’edificio della tragedia. Si tratta del terzo episodio in due giorni. Il presidente Asif Ali Zardari ha ordinato un’inchiesta approfondita sull’incidente, ma le cause sembrano essere chiare: mancanza di misure anti-incendio
L’unica buona notizia, dal tremendo rogo che ha sconvolto Karachi, in Pakistan, è che le autorità hanno ridotto la cifra ufficiale delle vittime: non 289 morti ma 247, stando alle ultime notizie.
E’ un giorno di lutto nella più popolosa città del Pakistan, il Paese dei puri, attonito per l’incendio che per quindici ore, tra martedì notte e mercoledì, ha devastato una delle tante fabbriche tessili della metropoli da quasi 13 milioni di abitanti.
Oggi negli ospedali cittadini è il giorno di una macabra processione: sono oltre un centinaio i corpi non ancora identificati e le autorità hanno chiesto ai familiari delle vittime di presentarsi presso gli ospedali per prelevare campioni di Dna da usare come riscontri per dare un’identità ai cadaveri.
Intanto, le squadre di soccorso sono ancora al lavoro nell’edificio della tragedia. Secondo l’emittente pakistana Geo News, i vigili del fuoco hanno drenato quasi tutta l’acqua che a tonnellate è stata riversata sull’edificio in fiamme. Nei locali alla base della costruzione, nei piani interrati, sono state trovati almeno due cadaveri e secondo l’emittente sarebbero molti i lavoratori che non sono stati uccisi dalle fiamme ma sono annegati nei locali inondati dall’acqua usata per cercare di domare l’incendio.
Oltre alle pompe idrovore che stanno svuotando gli stanzoni della fabbrica, i bulldozer stanno facendo crollare i muri danneggiati dall’incendio. Geo News aggiunge che tra le macerie potrebbero esserci altri cadaveri, forse abbastanza da far ritornare il bilancio vicino alla cifra iniziale.
La tragedia di Karachi è la terza in pochi giorni in Pakistan. Due giorni fa, a Lahore, 23 lavoratori erano morti nell’incendio di una piccola fabbrica di scarpe. Le fiamme, stando a quanto ha rilevato la polizia locale, sarebbero partite da un generatore elettrico difettoso che ha innescato un incendio. Nello stesso giorno, e di nuovo a Karachi, altre nove persone sono morte in una fabbrica tessile, avvolta dalle fiamme per cause che ancora ufficialmente non sono state chiarite. Secondo quanto ha riportato l’Associated Press, citando i familiari di un lavoratore che è riuscito a salvarsi, l’incendio sarebbe partito ancora una volta da un generatore difettoso, che i lavoratori hanno cercato di accendere quando l’energia elettrica è saltata, come accade molto spesso, anzi quotidianamente, in Pakistan anche nelle grandi città. Alcuni lavoratori sono rimasti soffocati dal fumo, mentre altri sono stati raggiunti dalle fiamme, alimentate dai solventi usati per la lavorazione e la tintura dei capi di abbigliamento.
La stessa dinamica, a quanto sembra, dell’ultimo e più tragico “incidente”, il più grave della storia del Pakistan. Il capo dei vigili del fuoco di Karachi, Ehtisham ud-Din, ha spiegato ai media locali che nell’edificio non c’era alcuna misura anti-incendio e che le porte dei piani bassi e dei locali seminterrati erano chiuse dall’esterno e hanno bloccato la fuga dei lavoratori terrorizzati. Le finestre, anche quelle dei piani più alti, erano invece sbarrate con delle grate: alcuni lavoratori sono riusciti a divellere le sbarre e a saltare giù.
Secondo la polizia di Karachi, i proprietari della fabbrica sono scappati e contro di loro sono stati emessi mandati di cattura. Porti e aeroporti sono sorvegliati per evitare che riescano a lasciare il paese. Qualcuno dei sopravvissuti ha raccontato alle tv locali che i lavoratori avevano protestato più volte con i proprietari per le condizioni della fabbrica e per la mancanza di misure di sicurezza. L’unico risultato ottenuto, però, è stato che chi aveva protestato è stato licenziato.
Il presidente pakistano Asif Ali Zardari ha ordinato un’inchiesta approfondita sull’incidente di Karachi e sugli altri due casi simili, ma, al di là delle specificità di ogni caso, la catena di responsabilità è chiara, almeno per gli operai che hanno avuto il coraggio di parlare davanti alle telecamere delle emittenti locali: condizioni di lavoro pessime, nessuna misura di sicurezza (nemmeno un estintore), impianti elettrici fatiscenti e pericolosi, nessuna tutela sindacale. Un quadro che vale per la grandissima parte degli impianti tessili e non solo del paese. In una conferenza stampa congiunta a poche ore dal disastro, a Karachi, i rappresentanti della Commissione diritti umani, dell’Institute of Labour education and research e della Pakistan Workers’ Federation hanno accusato il governo di non fare abbastanza per far rispettare le leggi sulla sicurezza del lavoro, che pure sono presenti nell’ordinamento pakistano, tanto nella costituzione (articolo 37), quanto nelle altre leggi che regolano i lavori pericolosi. Il Pakistan ha ratificato nel 1953 la Convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro sulle ispezioni per la sicurezza dei lavoratori, ma il sistema di controlli è del tutto inaffidabile e spesso minato dalla corruzione dei funzionari. Tanto che nel 2008 ci sono stati, secondo le ultime statistiche ufficiali disponibili, 419 “incidenti”: e nella maggior parte dei casi la fatalità è stata innescata dall’incuria e dal disprezzo dei diritti.
di Joseph Zarlingo