Da qualche giorno sono accessibili sul web le classifiche delle Università del mondo pubblicate dall’agenzia Qs, come già riportato anche su questo giornale. Ha destato scandalo il fatto che le prime Università italiane appaiano in questa classifica intorno al 200mo posto: Bologna, prima Università d’Italia si piazza 194ma, Roma Sapienza, la seconda, 216ma. Questi risultati sono in apparente contrasto con il fatto che l’Italia si piazza in genere settima o ottava nelle classifiche sull’attività di ricerca (si veda ad es. questo link). Proverò a fare qualche ragionamento su questi dati.
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Quanto è buona o cattiva la 200ma posizione della classifica Qs? Ciascuno può andare a vedere quali Università del mondo si piazzano in questa classifica tra il 200mo e il 225mo posto, alla nona pagina del link dato sopra; io cito: Francoforte, Amburgo e Politecnico di Berlino (DE, 202, 205 e 207), Dundee e Reading (Uk, 204 e 215), Madrid (ES, 206), Tel Aviv e Technion di Haifa (IL, 209 e 220), Bloomington (Usa, 210), Sorbona IV e I (FR, 217 e 218). Qualunque cosa si pensi del nostro circa-200mo posto, siamo in buona compagnia. Si deve anche tenere presente che i paesi citati devolvono in Università e ricerca percentuali di Pil che superiori a quelle dei nostri sogni più rosei, e che in questi paesi il numero di docenti universitari e addetti alla ricerca (normalizzato per il numero di abitanti) è molto superiore al nostro.
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Lo scopo delle Università è quello di produrre i professionisti dei quali il paese ha bisogno: medici, giudici, ingegneri, etc. Ai fini del ruolo sociale delle Università le prime posizioni in classifica servono solo a dare prestigio al paese che le ospita: quello che conta di più è quale sia la qualità media dei professionisti che le Università producono e quale sia la peggiore. Per chiarire meglio: se uno di noi (facendo le corna) avesse domani bisogno di un medico al pronto soccorso di un ospedale, potrebbe incontrare un professionista laureato nella migliore Università del paese, in una di media qualità o nella peggiore, ed è ovvio che la nostra prima preoccupazione è che anche il professionista formato nella peggiore Università del paese (secondo Qs) sia all’altezza del suo compito. L’elitismo non serve, è fumo negli occhi: è più importante sollevare la media e risolvere le situazioni degradate.
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Se nonostante questi ragionamenti qualche lettore ancora pensa che sia importante per il prestigio del paese piazzare qualche Università italiana tra le prime cento, mano al portafogli: ci servono più investimenti in ricerca e didattica, più strutture, più tutto. In questo tipo di classifiche noi siamo penalizzati, tra l’altro, da un rapporto molto elevato tra il numero degli studenti e il numero dei docenti (dobbiamo assumere più docenti) e da un modesto livello di internalizzazione (pochi studenti e dottorandi stranieri; non abbiamo strutture di accoglienza case dello studente, etc.).