L'attrice porta in scena nel tempio della musica lirica e sinfonica bolognese La parole nel suono, recitando ballate romantiche di Shelley, Uhland e Tolstoj su musiche di Strauss, Liszt e Schumann. Al fattoquotidiano.it racconta i suoi ultimi anni nel cinema e il ritorno al teatro: "La crisi è soprattutto un problema educativo"
In Nirvana di Gabriele Salvatores era Naima dai capelli blu, una delle poche cose che vennero risparmiate dalle critiche non esattamente benevole riservate alla pellicola. In Go go tales di Abel Ferrara danzava ammiccante dietro la tenda di perline del Paradise club di Willem Dafoe. Scandalosa fruitrice di cybersex in Viol@, ragazza cieca per la Comencini de La bestia nel cuore. Ha recitato con Anthony Minghella, Mike Figgis, Dario Argento, in tv per i fratelli Taviani. Stefania Rocca è un personaggio mutevole, in bilico tra sfrontatezza e riservatezza, tra desiderio di scandalizzare e riservata pudicizia da figlia della buona borghesia torinese. A Bologna sarà protagonista al Teatro Comunale venerdì 14 settembre dello spettacolo La parola nel suono, dedicato al melologo, genere che accosta la parola recitata al commento musicale. Sarà lei a leggere le ballate romantiche di Shelley, Uhland e Tolstoj su musiche di Strauss, Liszt e Schumann eseguite dal pianoforte del maestro Stefano Malferrari. Una veste del tutto inedita per l’attrice, coinvolta nel progetto dal direttore artistico Tito Gotti, un’istituzione della musica bolognese. “Sono stata contattata da Tito, che non conoscevo, e che mi ha proposto di incontrarci per illustrarmi questo progetto. Sono andata senza sapere assolutamente nulla, con un misto di curiosità e timore, ma le sfide mi piacciono ed ho accettato di cimentarmi in qualcosa di completamente diverso da ciò che sono abituata a fare. Ed eccomi qua, con un po’ meno paura, fortunatamente”.
Il tuo rapporto con la musica classica risale però a qualche tempo fa…
Da ragazzina ho studiato il piano, so leggere la musica ed ho un buon orecchio, e credo che questo sia stato fondamentale nella preparazione di uno spettacolo che intende la voce come melodia, da amalgamare con le note come se si trattasse di due strumenti in una sessione di musica d’insieme. In realtà poi ascolto di tutto. Gli stessi personaggi che interpreto al cinema sono preparati attraverso la musica: ciascuno di essi ha una propria colonna sonora, che detta in qualche modo il ritmo sul quale modellarne il parlato. Ne La bestia nel cuore c’era lo struggimento di Tenco, in Nirvana i Massive attack, ne La vita come viene l’elettronica degli Aphex Twin… Lavoro con la musica perchè credo che i sensi siano da sollecitare continuamente, debbano stare sempre all’erta.
E’ da un po’ che non ti si vede al cinema. Una pausa dovuta ad una scelta precisa o a contingenze?
In realtà ultimamente mi hanno proposto un paio di sceneggiature che non mi sono piaciute, e banalmente preferisco fare cose che mi piacciono, mettendo da parte l’ansia di apparire a tutti i costi. E’ anche vero che non è che in Italia si faccia motlo cinema: così, tra la carenza di personaggi per te e storie poco appassionanti diventa una scelta obbligata stare lontana dai set. In più avevo voglia di riavvicinarmi al teatro: l’ultima cosa che avevo fatto risaliva al 2002, Irma la dolce, commedia musicale assieme a Jerome Savary. Poi sono diventata mamma e coi bambini piccoli è assolutamente impossibile pensare di fare una tournèe: allontanarmi dal teatro è stata una scelta di natura pratica. Ora che sono più grandi mi ci sono ributtata con piacere.
Il teatro, il cinema e la cultura in generale vivono tempi drammatici. Questo stesso Teatro Comunale di Bologna è stato protagonista di polemiche e rischi di chiusura per mancanza di fondi, come altri in città e in tutto il paese. Gli orchestrali del Petruzzelli che scendono in piazza, le occupazioni, le proteste dei lavoratori di Cinecittà… Lei da artista come vive questa situazione?
E’ inutile rimarcare che stiamo vivendo un periodo di crisi generalizzata: è sotto gli occhi di tutti. Ma credo che il problema principale sia che negli ultimi anni non ci si è posti un problema educativo, di elevare il livello culturale del pubblico. Abbiamo dimenticato, ognuno di noi, nessuno escluso, che la cultura è il nostro patrimonio. E allora ben vengano le ribellioni e le proteste: sono convinta che sia utile che gli artisti si mettano in gioco in prima persona, come abbiamo fatto noi al Teatro Valle a Roma per evitare che diventasse un ristorante.
Anche per il cinema vede la stessa disarmante situazione?
Beh, al Festival di Venezia sono arrivate le contestazioni dei lavoratori di Cinecittà: e io sono con i contestatori che lottano per scongiurare il rischio che si trasformi in un centro commerciale (ipotesi questa negata nella maniera più assoluta dal presidente Abete, ndr). E c’è un problema grave anche di fruizione da parte degli spettatori: le sale d’essay nei centri, fruibili da chiunque, sono state chiuse per far spazio a multisale di periferia per arrivare alle quali hai bisogno di una macchina e di almeno 50 euro in tasca tra costo del biglietto e un boccone da mangiare.Con le piccole sale il cinema sarebbe rimasto nelle nostre strade cittadine, e quindi a portata di tutti, cosa che ora non è più. Il problema è, lo ripeto, tornare a difendere il valore della cultura, la passione e l’entusiasmo per il proprio lavoro, cosa che ho ritrovato nelle persone che hanno partecipato a questo progetto teatrale: merce rara in un mondo di presenzialismo ed individualismo come quello dello spettacolo.