Clamoroso, ben due notizie confortanti tra tv e quotidiani.

La prima: il simpatico economista Luigi Zingales (veneto, docente alla Chicago University), ospite ieri sera a Otto e Mezzo di Lilli Gruber, alla domanda sulla riforma del lavoro ha risposto, con una certa ruvida chiarezza, che Monti avrebbe fatto bene ad occuparsi anche dell’inadeguatezza dei manager, soprattutto ma non esclusivamente pubblici, per tentare di risolvere la crisi e far ripartire il Paese. Le colpe del management nell’attuale crisi sono, secondo l’economista, tante ed evidenti. Evviva.

La seconda: il ben noto notista economico Massimo Mucchetti (bresciano) scrive oggi sul Corriere della Sera che Marchionne ha forse ben agito in termini di bilancio ma ha perso quote di mercato, facendo peggio dei competitor. La casa automobilistica torinese, di cui il manager è il boss da nove anni, continua a non azzeccare un’auto e ad avere molti segmenti di mercato senza neppure un proprio modello. Evviva due volte.

Non grandi trovate, semmai semplici constatazioni, quelle di Zingales e Mucchetti. Su questi temi ho già scritto più volte, e chiunque, a semplice lume di buon senso, si sarebbe aspettato da anni attacchi e analisi, dibattiti e contromisure. Invece niente. Possibile che nessuno colga il fatto, evidentissimo, che ridurre il costo del lavoro nelle fabbriche Fiat incide sul bilancio ma nulla può e nulla fa di buono contro il calo delle quote di mercato dovute alla mancanza di prodotti vincenti? Il Paese deve riprendere la crescita, ma la Fiat evidentemente no. “Marchionne”, lo ripeto ancora, “quando ci dai una Golf o una Yaris, quando la disegni e produci l’auto vincente del futuro per sbaragliare la concorrenza?” Perché nessuno lo mette in mora su questo? Al contrario, tutti parlano benissimo di lui, soprattutto a sinistra, dove l’acume, in quest’epoca, abbonda.

Allo stesso modo: le nostre aziende mal gestite, senza spunto e motivazione, che escono da un trentennio di crescita straordinaria, di accesso al credito senza precedenti, di guadagni finanziari massicci, di vantaggi dovuti all’innovazione tecnologica, dunque auspicabilmente con i granai pieni, come possono chiudere o essere in crisi nera dopo appena due anni di calo dei consumi inferiori al 4% medio annuo? Non sarebbe lecito aspettarsi che i manager fossero stati così avveduti dal predisporre riserve e provviste, dall’intuire la crisi investendo sull’innovazione, a tutela dei loro marchi e delle risorse umane? Chiedere troppo, forse, visto il livello culturale tragico della nostra dirigenza, buona per quando tutto cresce, inadatta di fronte ai problemi.

Basta parlare di operai. Loro e i sindacati hanno mille colpe, ma se ne parla fin troppo. In questo Paese chi deve andare a casa sono i manager. Sono loro i primi bocciati, loro i più inadatti alle sfide dell’epoca. Sono stanchi prima di combattere, incapaci di cambiare, privi di idee, di gran lunga peggiori, come scrive Zingales nel suo libro “Manifesto Capitalista”, delle loro bravissime segretarie.

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