“Più si osserva con attenzione e ostinazione una realtà, più si capisce che essa non corrisponde all’idea che tutti se ne fanno”. Milan Kundera scrisse un giorno queste parole per approdare a un complimento all’indefinibile opera di Franz Kafka. Se a tali parole si toglie l’elevatezza che il talento di Kafka e la sottigliezza della percezione artistico-poetica si portano dietro, se le si decontestualizza con la premessa di non voler fare un torto agli intenti di Kundera, e se, dunque, si rimane alla lettera di ciò che esse dicono, nude e crude come si presentano, si può dar loro una valenza altra e sostenere che a quasi tutti i commenti letti al mio ultimo post (3 agosto) in sostegno della musica ai tempi di internet è appioppabile il significato che da esse si può dedurre. Ovviamente per far ciò bisogna dar credito al sottoscritto in qualità di “attento e ostinato osservatore di una realtà” che conosce assai bene, e che “non corrisponde all’idea che quasi tutti se ne fanno”. (C’è pure chi ha avuto il simpatico coraggio di sostenere che non conosco bene il mondo delle registrazioni, quindi… mai dar nulla per scontato). Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, e a leggerli ho provato un po’ di sconforto. (Niente di grave: in fondo erano tutti, purtroppo, nello standard).
Cecità, ingenuità, un pizzico di malafede, pregiudizi, menefreghismo, non conoscenza della questione, idealismi, mezze insolenze: a seconda dei casi tutti questi disvalori hanno concorso a loro modo a definire il quadro della situazione, e mi hanno rammentato per l’ennesima volta che il mondo ha un gran bisogno di paraculismo ben nascosto e cammuffato. Beati coloro che sanno esercitare l’arte paracula: sono tanti, fra i miei colleghi, non li invidio perché detesto questo atteggiamento, ma so che la cosa funziona. (A proposito degli ultimi due disvalori della lista: “I ribelli, avidi di opporsi a tutto e a tutti, non si rendono conto di quanto sono obbedienti; si ribellano solo a ciò che è interpretato come degno di ribellione”. Sempre Kundera)
Ma in verità… I 200 e più “consiglia” a inizio post mi rallegrano. Rappresentano la maggioranza silenziosa, se così posso dire, che ha colto ciò che mi premeva: non certo far tornare la gente in massa a comprare i dischi (la questione è ormai quasi del tutto accantonata), ma ottenere la comprensione empatica, culturale e sociale di un fenomeno negativo, con il conseguente apporto di una solidarietà costruttiva.
Un po’ come la si concede, tutti belli compunti e vestiti a lutto, a altre categorie lavorative quando sono in crisi con un lavoro, e/ma che non scatenano invidie. Le quali, come ho cercato nei post precedenti di far emergere con onestà, sono davvero malriposte o quanto meno non contemperate, perché non si conosce e non si sa capire e apprezzare cosa vuole dire essere musicista del mio/nostro rango.
(Al riguardo provo a dare forza ai miei assunti con quelli di Robert Levine, ex direttore di Billboard, e attuale collaboratore di Wired. Occhio all’ultima frase. ” Perché pagate le grandi corporation che producono computer, smartphone e internet ad alta velocità e non pagate chi produce e vende musica? Complimenti, siete la prima generazione che si ribella contro gli artisti, lavoratori al 99.9% di classe medio-bassa”. Ovviamente, manco a dirlo, google, youtube, facebook eccetera sono ben lontani dal concetto di “gratis” in rete, e sono altrettanto sideralmente lontani dalla condizione economica medio-bassa, essendo fra le nuove più ricche realtà del globo. E di noi esseri umani, per inciso… sanno tutto, ma proprio tutto: provate a cercare su google una certa cosa, da casa vostra, e poi provate a cercarla da un paese straniero… La disparità radicale di risultati cosa vi fa supporre?)
Sicché non angustierò più nessuno in merito alla musica ai tempi di internet, promesso. Ma mi va di sottoporre a voi quello che ha fatto Beck con il suo ultimo disco: puoi comprare i suoi spartiti editi da una casa editrice e “tirarti giù” la musica che lo caratterizza. Questo è il nuovo disco di Beck: un libretto di spartiti. Lo sapevate? Credo che chi lo conosce bene possa avere come prima reazione la sensazione del gusto provocatorio di un personaggio avvezzo a stranezze, ma, personalmente, sento dietro a ciò null’altro che la patetica “disperazione” di una mossa assurda dettata dall’impotenza e dalla necessità (patetica anch’essa) di doversi inventare qualcosa.
Non mi sto a dilungare sui motivi per cui scrivo queste cose (ho appena detto che non angustierò più nessuno, e quello che avevo da dire l’ho detto in maniera esasustiva ai primi di Agosto e alla fine di Luglio), ma immagino che sarebbe divertente che tutta la comunità mondiale dei musicisti (almeno quelli che con la musica ci vivono) si organizzasse per fare uscire la sua roba in questo modo: la comunità dei difensori delle ideologie della rete avrebbe ancora la certezza che non è la musica ad avere problemi, ma è l’industria discografica a subire la legge del contrappasso? (Che mi sembra un po’ come dire: anche se i calciatori professionisti dovessero tutti sparire, il calcio continuerebbe a esistere coi suoi talenti in erba nei campetti di periferia… Non fa sorridere questa cosa?).
Pensate a come si scardinerebbero i comodi sistemi che ci permettono di godere della musica, quella manifestazione dell’estro umano che così tante emozioni dispensa, da sempre e per sempre… (E, piccola appendice, pensate a quanti recensori si ritroverebbero senza lavoro… E detto inter nos: che alcuni scribacchini della rete scomparissero non sarebbe grave per nessuno, nemmeno per loro stessi). Ma, come ho detto, la “mossa” di Beck mi suona “disperatamente” patetica. E intanto nessuno recensisce il suo disco (come potrebbe la maggior parte dei giornalisti, visto che la musica non la sa leggere nè suonare?) e nessuno, mi pare, ne sta parlando.
Capitolo chiuso. (Ma sia chiaro: mi auguro di venir smentito dai fatti a costo di essere sputtanato a posteriori, e spero per Beck che la sua “mossa” sia, a lungo andare, vincente).
Post scriptum: la frase “non è la musica a essere in sofferenza, è l’industria discografica a subire” è per me la più irritante sentenza (spesso, a onor del vero, in ingenua buona fede) che ho cominciato a sentire in bocca a tanti miei colleghi ipocritamente politically correct i primi anni della nascita del fenomeno, seguiti chiaramente da tutti i ragazzi ottenebrati dalla ideologia nascente, soprattutto giovani musicisti del mondo underground, e da tutti o quasi gli “addetti ai lavori” che parlano a qualche titolo di musica nei siti a essa dedicati.
La mia promessa (In paradiso)
testo: Cristiano Godano
musica: Cristiano Godano, Luca Bergia, Riccardo Tesio
c) 2012, Ala Bianca Edizioni Musicali
dall’album ‘Canzoni per un figlio’ – Sony Music Columbia