Il capogruppo berlusconian-piduista Fabrizio Cicchitto ha proposto un’interpellanza parlamentare sulle visite che ho effettuato (in realtà ormai da diversi anni) presso gli istituti penitenziari che ospitano mafiosi in regime di carcere duro – quelle visite di cui scrisse, a modo suo, Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera del 9 agosto scorso, con la complicità di qualche pubblico ufficiale malauguratamente incorso nel reato di rivelazione del segreto d’ufficio – talmente urgente da essere stata presentata il 6 settembre, al rientro dalle sue meritate vacanze estive. La fretta di Cicchitto (e degli altri due cofirmatari dell’interpellanza, il larussiano Corsaro e il costiano – nel senso del padre ex ministro – Costa) è, però, andata a scapito di ogni sia pur minima capacità di comprendere il tema giuridico sul quale ha deciso di appuntare la sua attenzione. Tante sono le castronerie del testo di quell’interpellanza che l’unica alternativa potrebbe essere ricercata nella mala fede di Cicchitto. E io non arrivo a sospettare tanto.

A dire il vero, il copyright di talune di quelle castronerie spetta a Bianconi, stralci dell’articolo del quale sono stati riportati pari pari da Cicchitto. Poi, però, quest’ultimo ci ha messo del suo, arrivando a chiedere al ministro “per quali ragioni le visite non siano state interrotte quando debordavano da quanto previsto dalla legge”. Cicchitto che parla di legge impressiona un po’. Infatti, parla di argomenti a lui molto oscuri, com’è comprensibile dopo decenni di frequentazioni di un certo tipo (dalla loggia P2 a Berlusconi, che è come dire dalla loggia P2 alla loggia P2). Allora cerco di spiegargli cosa prevede la legge in relazione alla visite dei parlamentari presso le strutture carcerarie. Le norme che regolano l’accesso dei parlamentari agli istituti penitenziari, infatti, sono l’art. 67 dell’Ordinamento Penitenziario (Legge 354/75) e l’art. 117 del Regolamento penitenziario (dpr. 30 giugno 2000, n. 230).

Il primo recita “Gli istituti penitenziari possono essere visitati senza autorizzazione da: a) il presidente del consiglio dei ministri e il presidente della corte costituzionale; b) i ministri, i giudici della corte costituzionale, i sottosegretari di stato, i membri del parlamento e i componenti del consiglio superiore della magistratura; c) il presidente della corte di appello, il procuratore generale della repubblica presso la corte d’appello, il presidente del tribunale e il procuratore della repubblica presso il tribunale, il pretore, i magistrati di sorveglianza, nell’ambito delle rispettive giurisdizioni; ogni altro magistrato per l’esercizio delle sue funzioni; d) i consiglieri regionali e il commissario di governo per la regione, nell’ambito della loro circoscrizione; e) l’ordinario diocesano per l’esercizio del suo ministero; f) il prefetto e il questore della provincia; il medico provinciale; g) il direttore generale per gli istituti di prevenzione e di pena e i magistrati e i funzionari da lui delegati; h) gli ispettori generali dell’amministrazione penitenziaria; i) l’ispettore dei cappellani; l) gli ufficiali del corpo degli agenti di custodia. L’autorizzazione non occorre nemmeno per coloro che accompagnano le persone di cui al comma precedente per ragioni del loro ufficio e per il personale indicato nell’articolo 18- bis. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono accedere agli istituti, per ragioni del loro ufficio, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria. Possono accedere agli istituti, con l’autorizzazione del direttore, i ministri del culto cattolico e di altri culti”.

Il secondo, invece, dice che “1. Le visite devono svolgersi nel rispetto della personalità dei detenuti e degli internati. Sono rivolte particolarmente alla verifica delle condizioni di vita degli stessi, compresi quelli in isolamento giudiziario. Non è consentito fare osservazioni sulla vita dell’istituto in presenza di detenuti o internati, o trattare con imputati argomenti relativi al processo penale in corso. 2. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria può autorizzare persone diverse da quelle indicate nell’articolo 67 della legge ad accedere agli istituti, fissando le modalità della visita. Possono anche essere autorizzate in via generale le visite di persone appartenenti a categorie analoghe a quelle previste dall’articolo 67 della legge”.

Quindi, stando alla legge, i divieti nei colloqui coi detenuti riguardano la vita dell’istituto e argomenti relativi a processi in corso. Senonché, secondo quanto riportato dal testo-guida di Cicchitto, cioè l’articolo di Giovanni Bianconi, io (e il senatore Lumia) avrei invitato Provenzano a collaborare con la giustizia secondo le leggi dello Stato. Sì, perché, cosa che sicuramente fa rabbrividire Cicchitto, esistono leggi della Repubblica che prevedono la collaborazione dei mafiosi con la giustizia, a partire dalla legge 82/91 e dalla legge 45/2001.

Cosicché in fondo è rivelatore il modo in cui si conclude l’interpellanza di Cicchitto: “quali siano i provvedimenti che intenda porre in essere relativamente a quanto è avvenuto ed al fine di scongiurare il ripetersi di simili «trattative» private effettuate in dispregio alla legge; se il Ministro interrogato non ritenga di dover chiarire in termini esaustivi i contorni di una vicenda sicuramente preoccupante e quali iniziative intenda, eventualmente, assumere, al fine di scongiurare il ripetersi di analoghi, deprecabili comportamenti”. Par di capire che Cicchitto è preoccupato anche solo dalla lontana ipotesi che i boss mafiosi possano collaborare con la giustizia e arriva a chiedere l’aiuto del ministro Severino per scongiurare evenienze che sembra gli tolgano perfino il sonno.

Ora, fosse solo Cicchitto ci sarebbe solo da sorriderci su. Il fatto grave è che dopo l’articolo di Bianconi (seguito da un pezzo di Rosaria Capacchione) sono stati a decine i parlamentari che hanno gridato al golpe o al teorema giustizialista e perfino il ministro Severino si è lasciato andare ad affermazioni frettolose e di imperdonabile pressappochismo. E’ per questo che ho riservatamente scritto al ministro e sono ancora in attesa di una qualche sua risposta. Per intanto, si può solo concludere che è sconfortante vedere forze politiche e parlamentari praticare l’obiezione di coscienza contro le leggi antimafia volute da Giovanni Falcone e confessare il terrore per l’ipotesi che i boss mafiosi collaborino con la giustizia. Mostrano la faccia peggiore dello Stato. Forse non è un caso che la sortita di Bianconi (e quel che ne è seguito) sia arrivato in contemporanea con le manovre di palazzo contro il processo sulla trattativa Stato-mafia.

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