Provo a raccontare una piccola storia, e la voglio raccontare in astratto; nel senso che non ha importanza chi e cosa siano esattamente i protagonisti di questa storia, né chi e cosa ne siano i veri attori.
Prendetela come una storia di fantasia, anche se forse fantasia non è. Forse quella gente di cui raccontiamo esiste davvero, e anche i luoghi; e soprattutto le condizioni in cui la vicenda si svolge.
Ma in fondo non ha importanza: spesso la fantasia può assomigliare alla realtà e magari, proprio perché si tratta di fantasia, assomiglia a più realtà diverse e simili allo stesso tempo; non amo la parola ‘emblematico’ ma forse questa storia, in tutto o in parte, può rappresentarne qualcun’altra; fatte le dovute differenze, che spetterà a chi legge di fare.
Cercherò di non fare nomi e non indicare luoghi e riferimenti espliciti, soprattutto per non distrarre il lettore, già abbastanza impegnato a cercare i suoi paragoni; per non distrarlo con le mie, o con le sue stesse, pre-nozioni; così il lettore stesso potrà applicarle in piena libertà a ciò che viene descritto; o modificare, se crede, il racconto, per farlo assomigliare di più alla realtà che lui conosce meglio. Per adattarlo, insomma, al suo terreno.
Questa storia insomma, o più semplicemente la descrizione di questi fatti (reali o no) può servire come una dima. Uno strumento di misura, un riferimento; del quale nel nostro caso sono importanti, per capirci, le proporzioni. Quanto poi questo stesso strumento possa servire per comprendere qualche altra realtà, questo, appunto, non sta a me dirlo. Ognuno lo prenda, se crede, e lo usi come gli pare.
C’è dunque un paese… un villaggio, diciamo. Un piccolo paese di pochi abitanti. In qualche luogo d’Italia (eh sì, siamo sempre in “questo paese”). Non diciamo esattamente quanti abitanti. Le stesse cifre potrebbero essere fuorvianti. Mille abitanti potrebbero essere pochi in qualche posto e in qualche altro molti. Dipende dalle regioni per esempio, più o meno popolose, dal fatto che il paese sia al nord o al sud, vicino o lontano dal mare o da un’area urbana importante più o meno densamente popolata, se vi siano turismo, industria, trasporti… tutte cose però che, ai fini di questo discorso, non ci interessano. Dunque quanti siano, in cifre, questi abitanti, non ha importanza. Basti sapere che sono pochi; e si tratta già di un dato che i lettori devono adattare.
Diciamo solo perciò che si tratta di un piccolo paese. Una località montana di un’area poco densamente popolata. Dove l’economia prevalente è quella che di solito si chiama sbrigativamente agro-pastorale. Possiamo aggiungere che qui, forse, l’allevamento prevale un po’ sull’agricoltura. Ma in effetti siamo di poco, solo di poco, sopra la soglia della sussistenza. Dato che la maggior parte dei prodotti servono al consumo locale, e che solo una piccola parte di ciò che si fa in paese va a finire, in un modo o nell’altro, fuori dal paese stesso.
Inoltre, c’è una significativa presenza di ciò che potremmo chiamare un tessuto artigianale, anche questo rivolto soprattutto a soddisfare esigenze locali (ma non solo). Forse, in passato, questa presenza era ancora maggiore, e certo le successive ondate di emigrazione hanno fatto un danno. Ma tuttora rimangono in paese un certo numero di valentissimi artigiani del legno, della pietra e del ferro, in grado di fabbricare oggetti di grande pregio, di belle forme e solidi all’uso.
Sicché in paese c’è una bella chiesa con una bella facciata, e delle belle case che, anche quando sono abbandonate, mantengono una certa qualità estetica, arricchite come sono di bei portoni in legno e di fregi in pietra finemente lavorati.
Ci sono poi competenze artigianali, necessarie per mandare avanti l’allevamento nelle forme tradizionali e per la cura dei boschi circostanti. Il che, fra l’altro, garantisce una certa sicurezza dal dissesto del territorio, oltre che la legna per l’inverno. Dunque ci sono fabbri, maniscalchi, scalpellini, e anche boscaioli, carbonai, allevatori di bestiame piccolo e grande. Con quel che segue nella produzione, per esempio, di sapori (salumi, formaggi, funghi) e di odori (essenze, profumi) nonché di tecniche di stagionatura e conservazione. Insomma c’è tutto quello che potrebbe appagare il gusto e gli occhi dei turisti. Ma in paese non c’è turismo.
In paese, per esempio, non ci sono alberghi, e dunque i cosiddetti turisti non ci vengono, se non per un giorno, in gita, da qualche paese vicino o in occasione della festa patronale e della fiera. Inoltre i prodotti locali (specie alimentari) non sono destinati all’esterno e dunque sono prodotti soprattutto per soddisfare il consumo locale (che ovviamente è molto esigente, dato che i produttori sono anche consumatori). Perciò ogni tentativo di produrne in quantità maggiore in vista di un consumo “turistico”, data la scarsità di materie prime di qualità, comporterebbe cambiamenti fatali proprio per la qualità dei prodotti (li snaturerebbero).
E infatti in paese non ci sono ristoranti degni di questo nome; cioè non ci sono ristoranti che abbiano un rapporto intelligente con le produzioni locali (quelle cosiddette di nicchia). E qui si tratta di una “nicchia” talmente ristretta che, alla fine, si mangia bene solo se si ha la fortuna di essere invitati a casa di qualcuno. Allora, e solo allora, si possono gustare delle vere prelibatezze. Ma non si può pagare per averle; ed è chiaro che non avrebbe nemmeno senso anche solo pensare di farlo.
(… continua)