L’assistente storica dai tempi del ministero di Francesco Rutelli, Ilaria Podda, da lunedì comincerà a lavorare per il Partito democratico a fianco di Matteo Orfini. Luciano Nobili, giovane organizzatore di tante battaglie, prima per la Margherita, poi con l’Api, giovedì era seduto in prima fila alla convention veronese di Matteo Renzi. Lo staff del leader dell’Api ha già cominciato le grandi manovre di riavvicinamento al Pd (che assicura contratti e stipendi dopo la liquidazione della Margherita) e ora anche lui prova a giocarsi l’ultima carta.
Ieri a Maratea, circondato da ex socialisti ed ex democristiani, Rutelli ha lanciato la candidatura ufficiale alle primarie del centrosinistra di Bruno Tabacci. Una strategia per provare a catalizzare voti al di fuori del suo partito e giocarseli al momento delle decisioni. “Non è l’ultima mossa possibile, è l’unica” spiega l’onorevole Luigi Fabbri, già socialista, già Forza Italia, eletto “ma mai iscritto” nelle file del Pdl, soprannominato da Silvio Berlusconi “il grillo parlante”. “L’ex premier? Mi lasciava parlare, parlare, e poi faceva come voleva – spiega il deputato oggi nell’Api – qui invece c’è molta più democrazia. Grazie al Terzo polo oggi quel governo non c’è più”.
Che gran rammarico, la fine del Terzo Polo. A Maratea si sentono tutti orfani di Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini. Il presidente della Camera a un certo punto arriva, parla 50 minuti, sottotono. “Anche lui è in un angolo” dicono i delegati, e si vede. É altrettanto orfano “di una terza opzione, perché l’Italia non merita di restare in una logica bipolare”. Il dito di ognuno è puntato contro il leader Udc, che a Maratea non ha messo piede. Doveva arrivare Lorenzo Cesa al suo posto ma anche lui alla fine ha declinato. Sono gli “sfasciafamiglie” del polo centrista secondo l’Api. Artefici dell’impossibilità di rifondare la “Balena bianca”. Rutelli è il primo a non nascondere l’amarezza per il progetto naufragato, e lo mette nero su bianco in un documento: “Quest’anno di iniziativa non ha ,portato, come avremmo voluto, alla nascita di un soggetto politico, né alla presentazione di una candidatura alla guida del Paese”. E allora l’ultima chance passa dal Partito democratico e dalle primarie del centrosinistra. Anche se al Nazareno non hanno nessuna intenzione di imbarcare la compagnia Rutelli-Boselli-Tabacci. In serata a Maratea arriva il responsabile Giustizia dei democratici, Andrea Orlando, e non è messaggero di pace: “Stiamo parlando di coalizione, non di candidature nel Pd. Non si deve fare il gioco delle tre carte, serve coerenza”. Ma loro ci sperano ancora.
“Abbiamo nostalgia per quel che lasciamo ma grande entusiasmo per la nuova sfida” dice dal palco dell’assemblea il deputato Donato Mosella, da sempre capo della segretaria di Rutelli, che ha il compito di annunciare l’arrivo di Tabacci. L’assessore al bilancio del Comune di Milano, che annuncia qui le sue dimissioni contro “i conflitti d’interesse”, entra nella sala circondato da ragazzi. Alcuni di loro hanno una maglietta col suo nome e la scelta cromatica è bipartisan, che non si sa mai: Bruno in arancio, Tabacci in blu. Non ce l’ha la calabrese Laura Venneri, responsabile dei giovani che parla di un “naturale riavvicinamento alle nostre origini” ma della “necessità di mantenere un’identità”, né il responsabile della Basilicata, Carmine Nigro, che racconta come tutti i suoi conoscenti del Pd chiedono se è tornato con loro. “Ci strumentalizzano” dice, ma sembra più un grido di dolore che una speranza di poter fermare il treno in corsa. “Guardate che con i voti della sola Api neanche mi presenterei – confessa, non molto elegantemente, Tabacci – conto su tutto un mondo democristiano e cattolico che ancora esiste e conosco come le mie tasche”.
Ci conta anche Rutelli. Non mollano, restano attaccati. Condannano il populismo generazionale di Renzi, sapendo che con lui non avrebbero più prospettive. “Con Berlusconi ancora in campo (e l’Udc che li ha messi al palo, ndr), il Pd è l’unico nostro interlocutore”, spiega il senatore Franco Bruno, “ma la situazione è così fluida che lo scenario potrebbe cambiare ancora”. L’ultima speranza, oltre Bersani.
Il Fatto Quotidiano, 15 Settembre 2012