Gaetano Silvestri e Giuseppe Frigo: saranno loro, gemelli diversi, i giudici relatori della Consulta a cui toccherà d’impostare il lavoro della Corte costituzionale sul conflitto tra poteri dello Stato sollevato dal presidente Giorgio Napolitano contro la procura di Palermo. Silvestri e Frigo avranno una parte importante nel disporre le carte sul tavolo da gioco, per la delicatissima partita che sarà poi decisa dai giudici costituzionali, alle prese con la questione spinosa delle telefonate del capo della Stato restate indirettamente registrate nei file dei pm palermitani che indagano sulla trattativa tra Stato e Cosa Nostra. Sono due giuristi che provengono da opposte sponde politiche, il centrosinistra per Silvestri, il centrodestra per Frigo. Ora si troveranno a dover affrontare insieme il caso più spinoso tra quelli capitati alla Corte costituzionale negli ultimi anni e forse in tutta la storia della Repubblica.
Gaetano Silvestri è entrato alla Corte costituzionale nel giugno 2005, eletto (con 587 voti) dal Parlamento in seduta comune, su indicazione del centrosinistra. Resterà in carica fino al 28 giugno 2014. Giurista e professore universitario, ma anche uomo di partito. Nato a Patti nel giugno del 1944, è dal 1970 docente all’università di Messina, di cui diventa rettore nel 1998, dopo gli scandali (“il verminaio”) che coinvolsero l’ateneo e i poteri della città siciliana. Resterà rettore fino al 2004, anno in cui diventa vicepresidente della Conferenza dei rettori delle Università italiane. Iscritto al Pci e poi al Pds, dunque compagno di partito di Napolitano negli anni Ottanta e Novanta, mantiene sempre buoni rapporti con i vertici del partito, che nel 1990 lo mandano a Roma, al Consiglio superiore della magistratura, come membro laico. Ci resterà fino al 1994 (sono gli anni roventi delle stragi di mafia e della trattativa). Tra il 1988 e il 1991 era stato membro del Comitato direttivo dell’associazione italiana dei costituzionalisti. Dal 1997, dopo la morte del professor Temistocle Martines, porta a compimento il lavoro di quest’ultimo, curando il suo manuale universitario di Diritto costituzionale.
Nel maggio 2010 i giornali scrivono che il nome di Gaetano Silvestri sarebbe presente nella cosiddetta “lista Anemone”, ossia l’elenco di 370 persone che avrebbero usufruito di ristrutturazioni edilizie fornite dall’immobiliarista della “cricca”, Diego Anemone. Il giudice Silvestri smentisce con decisione e dichiara la sua assoluta estraneità a quella vicenda. La primavera scorsa è un suo parente, invece, a inciampare in un caso giudiziario: il cognato Giuseppe Fortino, avvocato a Messina, è condannato in primo grado a 4 anni di reclusione per corruzione, in relazione a una speculazione edilizia realizzata con l’intervento di politici locali. L’avvocato Fortino è ora in attesa dell’appello.
L’altro relatore del caso Napolitano-trattativa presso la Corte costituzionale è Giuseppe Frigo, entrato alla Consulta nell’ottobre 2008, eletto dal Parlamento in seduta comune con 690 voti, su proposta del centrodestra. Bresciano, nato nel 1935, Frigo diventa avvocato di fama e docente all’università di Brescia. Nella sua carriera legale ha difeso Silvio Berlusconi, suo fratello Paolo e Cesare Previti in più processi. Ha rappresentato in aula la famiglia Soffiantini nel dibattimento per il sequestro dell’imprenditore Giuseppe Soffiantini. Ha chiesto la revisione del processo sull’assassinio del commissario Luigi Calabresi, a nome del suo assistito Adriano Sofri, condannato per omicidio. Ha patrocinato il finanziere bresciano Emilio Gnutti nel processo per la scalata alla banca Antonveneta. E ha difeso il cantante napoletano Gigi D’Alessio dall’accusa di concorso esterno in associazione camorrista. Dal 1998 al 2002, per due mandati consecutivi, è stato presidente dell’Unione delle Camere penali, che rappresenta 9 mila legali italiani. In questa veste, si è particolarmente distinto nella battaglia per la separazione delle carriere dei magistrati (pm e giudici) e in quella per il cosiddetto “giusto processo”. L’inserimento nella Costituzione dell’articolo 111 può essere considerata anche una sua vittoria, ottenuta da leader dei penalisti italiani. Ha sostenuto con vigore il principio dell’oralità della prova, che si deve formare in aula, davanti a un giudice terzo, nel contraddittorio delle parti. Chissà se ora avrà dubbi sul caso di cui è chiamato a fare il relatore: elementi raccolti nelle indagini (le telefonate del capo dello Stato) dovrebbero essere distrutti direttamente dal pm, senza intervento del giudice e senza il controllo delle parti…
Da Il Fatto Quotidiano del 15 settembre 2012