“La Fiat è ormai una multinazionale. Ma è anche una grande industria italiana. Per questo, Marchionne ha il dovere di spiegarci quali sono le sue strategie per l’Italia. Aspettiamo sue notizie nei prossimi giorni. Io ho molte cose da chiedergli. E l’attesa non può essere eterna…”. Ha improvvisamente fretta il ministro del Lavoro, Elsa Fornero. Eppure non più tardi di una settimana fa alle telecamere di Otto e Mezzo su La7, aveva detto di aver incrociato Marchionne “domenica scorsa” – al Gran Premio di Formula 1 a Monza, dove uno dei suoi addetti alla sicurezza ha estratto la pistola per persuadere la security dell’organizzazione a farlo entrare in pista -, ma di non essere entrata “nei temi” anche perché “non c’è vera urgenza ma ci sarà un incontro presto”.
Oggi, invece, l’urgenza Fiat c’è. Anzi, non è vero che non c’era, c’è sempre stata, solo che l’ad del Lingotto, Sergio Marchionne, finora ha fatto spallucce. O almeno così lascia intendere la Fornero che in un’intervista pubblicata stamattina da Repubblica – e smentita dal ministro a pomeriggio inoltrato al grido di “ieri non ho rilasciato alcuna intervista e non è mia intenzione rilasciare alcuna dichiarazione o intervista sul tema Fiat”, benché sue dichiarazioni analoghe siano state registrate da tutte le agenzie di stampa sabato pomeriggio a margine del Festival dell’economia sociale di Verona -, svela che in realtà lei con Marchionne ha “parlato più volte. Ci avevo parlato prima dell’estate e ci ho parlato di nuovo nei giorni scorsi. Dopo l’annuncio di venerdì (quello sulla “rottamazione” del piano Fabbrica Italia con cui Fiat avrebbe dovuto investire 20 miliardi di euro nella Penisola, che però è stato fatto giovedì e non venerdì, ndr) all’amministratore delegato ho chiesto un incontro urgente. Gli ho comunicato una serie di date. Mi ha risposto che era in partenza per gli Stati Uniti e che mi avrebbe fatto sapere al suo rientro”. Eppure secondo quanto riportato venerdì 14 settembre, tra gli altri dallo stesso stesso quotidiano che la stava intervistando, Marchionne il giorno del fatidico annuncio si trovava già negli Stati Uniti.
“Finora il mio telefono non ha ancora squillato. Sto aspettando sue notizie. Me le aspetto nei prossimi giorni, e non mi faccia dire di più …”, aggiunge per poi ammettere che “è vero, finora le nostre richieste non hanno raggiunto risultati concreti. E questo è un problema che avvertiamo, mi creda. Ma con la stessa sincerità le posso dire che il governo, in questi mesi e in queste ore non è stato con le mani in mano. Contatti ci sono stati e ci sono, Corrado Passera si sta facendo carico del confronto sulle strategie industriali, io delle ricadute occupazionali. Le assicuro che ci stiamo muovendo …”.
La sequenza cronologica degli appelli di Passera al Lingotto rimasti lettera morta nonostante la ventilata chiusura, il 3 luglio scorso, di un altro stabilimento italiano da parte della Fiat, non dice esattamente così, quanto al carico della Fornero è lei stessa a consegnare le armi ribadendo che secondo lei il governo non può “convocare l’amministratore delegato al ministero”. Del resto lei stessa in queste ultime settimane è stata abbastanza tiepida sul tema dell’incontro con Marchionne. Per esempio dal palco del meeting di Rimini il 23 agosto aveva garantito che un summit con l’amministratore delegato della casa automobilistica – che vale un paio di punti di Pil nazionale e occupa 30mila persone – era in programma, ma non era stata in grado di indicare una data per l’incontro. E il manager non sembrava aver preso alcun impegno se a stretto giro, il primo settembre, a chi gli domandava se l’incontro era già avvenuto aveva risposto “no” e a chi insisteva “ci sarà?”, aveva detto “eventualmente sì”.
A che pro, del resto? Il 15 marzo scorso era stata la stessa Fornero a bollare come “destituite di ogni fondamento” le notizie sulla possibile chiusura di altri stabilimenti del gruppo Fiat in Italia oltre a Termini Imerese. “Il ministro ha raccolto le rassicurazioni dei vertici del gruppo che hanno ribadito la volontà di continuare il piano industriale annunciato”, aveva detto la Fornero nel corso di una informativa nell’Aula del Senato. A smentirla è stato poi lo stesso Marchionne quando, nel giro di tre mesi e mezzo ha detto chiaro e tondo che “c’è uno stabilimento di troppo in Italia. Se riusciamo a indirizzare la capacità produttiva verso l’America, questo problema scompare: ma abbiamo bisogno di tranquillità per produrre in Italia”.
Ad avere le idee più chiare è la solita Fiom. “Fiat ha preso piani non impegnativi e i governi non hanno mai chiesto alla Fiat di condividere i piani. Inoltre chi ha firmato quegli accordi sbagliando ha lasciato le mani libere a Marchionne e adesso non gli si può più chiedere niente”, ha detto stamattina il responsabile Auto delle tute blu della Cgil, Giorgio Airaudo. “La Fiat dica la verità al Paese perché con 400mila vetture basta anche solo uno stabilimento. Adeguandosi all’andamento del mercato è difficile pensare che possa partire una corsa all’acquisto di automobili. A rischio sono due o tre e non uno. Si deve uscire dalla propaganda e dalla divisione sindacale. Fiat non dice la verità, si è illusa e ha illuso”, ha aggiunto ricordando che “oggi mancano un milione di vetture prodotte in Italia rispetto alle previsioni di Fiat”.
Quanto al governo, secondo Airaudo “deve avere un’idea propria, non deve aspettare una telefonata di Marchionne. Monti, il presidente del consiglio, quindi il massimo livello del governo, deve dire se l’auto è o non è una risorsa per il futuro di questo Paese, se è strategica o no per la ricerca e lo sviluppo del Paese”. E deve “chiedere alla Fiat cosa può fare per soddisfare l’interesse nazionale. La Fiat risponderà, e non essendo più un’azienda italiana, se dovesse rispondere di non essere più in grado di mantenere le aspettative del governo e degli italiani, credo che bisognerebbe aprire all’ingresso di altri produttori”.