Dall’entusiasmo più sfegatato, alla delusione, passando per la preoccupazione e la raccolta di firme. Un’esplosione di diversità di vedute è seguita all’intervista a Sergio Marchionne pubblicata questa mattina da Repubblica nel corse della quale l’ad di Fiat ha promesso che nel Paese non ci saranno esuberi nonostante la cancellazione del piano Fabbrica Italia annunciata dal Lingotto giovedì scorso. ”Molto interessante. Sotto tutti i punti di vista che prende in considerazione”, commenta il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, che ieri si era detta in attesa di una telefonata da parte del manager, che evidentemente ha dato la precedenza al direttore di Repubblica, Ezio Mauro.
”Marchionne ha tenuto una posizione molto difensiva, nella quale, però, non dà le risposte di cui il Paese ha bisogno”, rimarca invece il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. ”Il tema non è fare promesse – dice – non ci si basa su questo. Basta guardare alla sequenza delle cose che in questo lungo periodo Marchionne, in varie occasioni, ha detto: il tema, ancora una volta, è che non dice verso dove vuole investire, in che tempi e con quali caratteristiche”. A giudizio della numero uno della Cgil, “le promesse, senza questi numeri, senza questi dati, non servono”. Poi, ha proseguito, “se c’è la crisi e tutto si azzera vuol dire che siamo in assenza di un piano industriale e quindi è legittimo chiedergliene uno”.
Rammarico che si aggiunge a preoccupazione, poi, da sindacalisti e operai. La preoccupazione è aumentata nei giorni scorsi, dopo l’abbandono del progetto di Fabbrica Italia; il rammarico è per le parole di oggi e per la prospettive di scarsi o nulli investimenti, in particolare a Melfi (Potenza), dove si aspetta il nuovo modello da produrre dopo la Punto. “Investire in nuovi modelli in Italia sarebbe come sparare nell’acqua? In realtà, realizzare una nuova vettura nello stabilimento di Melfi significherebbe meno cassa integrazione, maggiore potere d’acquisto e quindi ripresa dell’economia; e se questo avvenisse in tutta Italia, la crescita sarebbe su larga scala”, è la reazione del segretario della Basilicata della Uilm-Uil, Vincenzo Tortorelli, alle dichiarazioni di Marchionne: “La Fiat deve continuare a scommettere nel Paese con nuovi investimenti, lanciando prodotti appetibili per il mercato”. Secondo Marchionne, sono cambiate le condizioni sulle quali si reggeva “l’impegno per Fabbrica Italia”, ed alla crisi si aggiungono “le più di 70 cause aperte dalla Fiom. Parlare delle cause della Fiom è l’ennesimo alibi per nascondere le proprie inadempienze”, ha aggiunto il segretario della Basilicata della Fiom-Cgil, Emanuele De Nicola.
Da Luca di Montezemolo arriva un diplomatico no comment su tutta la vicenda e, in particolare, sull’attacco al gruppo torinese da parte dell’amico Diego Della Valle. “Per me è una vicenda amara per la quale non vorrei dire più niente”, dice il presidente della Ferrar all’Adnkronos, in merito alle dichiarazioni del numero uno della Tod’s. “Non ho altro da aggiungere”.
Soddisfatto, poi, Raffaele Bonanni per il quale l’intervista “non è esaustiva, ma mette a tacere coloro che hanno raccontato bugie, perché ha spiegato ciò che tutti hanno negato”. Secondo il segretario generale della Cisl le dichiarazioni di Marchionne respingono “le asperità proprie di una comunicazione così stringata (il comunicato della Fiat su Fabbrica Italia, di giovedì 13, ndr) e violenta così come è stata trasformata dai media”, anche se “i soggetti sociali non si affidano a interviste, ma a discussioni formali”. Steccata, poi, al’ex amministratore delegato della Fiat, Cesare Romiti, che nei giorni scorsi aveva rilasciato dichiarazioni critiche nei confronti dei vertici del Lingotto. “Parla lui che ha licenziato 30 mila persone negli anni ’80 ne sa qualcosa e che organizzava accordi con la politica che pagavano i contribuenti”, osserva Bonanni. “Quel mondo – aggiunge – è finito – Ritengo si debba tornare a comportamenti improntati a sobrietà e responsabilità”.
Bonanni, quindi, difende le scelte fatte. “Si è detto che Pomigliano è stata una disfatta, ma invece è stata una vittoria: era chiusa ed è stata riaperta con un investimento importante: 800 milioni per una linea robotica che non potrà che garantire una ventina d’anni di occupazione in quel posto. E lo stesso vale per Grugliasco. Strano che alcuni dimentichino da dove veniamo pur di partecipare a questo festival di autolesionismo italiano”. Quanto al futuro, il segretario della Cisl annuncia un’alleanza con Piero Fassino: “con il sindaco di Torino ci muoveremo insieme per affrontare i problemi legati al caso Fiat”, dice dopo un’incontro col primo cittadino del capoluogo piemontese.
”Le parole di Marchionne rassicurano e noi siamo sicuri che alle parole seguiranno i fatti”, gli fa eco Fassino secondo il quale “l’intervista di Marchionne è stata assolutamente chiara. La Fiat non ha nessuna intenzione di abbandonare l’Italia e Torino e di disinvestire. Ma questa intenzione, che io credo vada registrata con favore, deve fare i conti con una crisi di mercato che colpisce non solo la Fiat ma tutti i principali produttori automobilistici europei”. Per il sindaco di Torino, “l’unione tra Fiat e Chrysler è stata un’operazione giusta che ha consentito di ridare una prospettiva alla Fiat e creare un grande gruppo che ora può affrontare una competizione internazionale resa più difficile dalla crisi. Questa sfida di creare un grande gruppo Fiat-Chryslerbisogna sostenerla e questo significa anche battersi perché sia una operazione a beneficio di tutti i Paesi in cui sono dislocati gli stabilimenti, a partire dall’Italia e da Torino”.
”I poteri forti che hanno sfasciato il Paese si sono scatenati contro la Fiat che vuole contribuire a innovarlo”, è invece la versione del segretario generale della Fismic, Roberto Di Maulo per il quale l’intervista “spegne tutto questo starnazzare di oche e polli” dato che “non c’è nessun disimpegno della Fiat dall’Italia e non c’è nessun disinvestimento”. E annuncia “una campagna con una raccolta di firme a tutela e sostegno dell’industria manifatturiera e dei lavoratori italiani”. Secondo Di Maulo “industriali che non hanno dipendenti in Italia come lo scarparo Della Valle, campione del subappalto e della delocalizzazione; ex-manager come Romiti che hanno sulla coscienza 12.000 licenziamenti e 30mila persone per anni in cassa integrazione; politici saltellanti come Casini e Fini; la solita sfilata di sconfitti dalla storia da decenni e l’estrema sinistra si sono scatenati contro la Fiat come cani attorno all’osso. Diverso è il caso di Cgil e Fiom: essi sono portatori di interessi extranazionali e non smettono mai di chiedere al governo di favorire le condizioni per far rilevare gli stabilimenti Fiat da un produttore straniero”.