I parchi minerali dello stabilimento siderurgico di Taranto saranno coperti. Ma di certo non ora. Nel nuovo piano di investimenti presentati dal presidente del cda Ilva Bruno Ferrante, l’azienda ha annunciato di aver “dato incarico alla società Paul Wurth, leader mondiale nella progettazione di impianti siderurgici, di progettare un sistema per la copertura” dovrebbe servire ad abbattere le polveri fino al 90%. Per ora, quindi, solo l’annuncio di un progetto e l’ennesima richiesta di «completamento» della barriera antiveleni “che può essere ultimata entro la fine dell’anno”, ma che i custodi tecnici Barbara Valenzano, Emanuela Laterza e Claudio Lofrumento hanno già bloccano per una serie di inadempienze dell’azienda.
Il nuovo piano di risanamento presentato dall’Ilva prevede una spesa di 400 milioni di euro, comprensivi dei 146 milioni già annunciati. «Questi – ha spiegato ai giornalisti Ferrante – sono solo i fondi per gli interventi più immediati: ne saranno spesi altri per far fronte alle prescrizioni che saranno contenute nell’Autorizzazione integrata ambientale». La speranza, quindi, è che la copertura, unica misura per eliminare la diffusione incontrollata di tonnellate di polveri nocive nel vicino quartiere Tamburi, possa entrare definitivamente nell’Aia che entro il 30 settembre la commissione guidata da Carla Sepe, dovrà rilasciare.
L’Ilva, intanto, non sembra voler rinunciare al braccio di ferro con i magistrati. Al centro della contesa, ancora una volta la produzione dell’acciaio. Non sono bastati, evidentemente, il decreto di sequestro preventivo senza facoltà d’uso del gip Patrizia Todisco e la conferma sul punto del tribunale del riesame. Nelle scorse ore, infatti, Ferrante ha depositata alla procura di Taranto un’istanza «con la quale chiediamo – ha spiegato il presidente del cda Ilva – che al siderurgico di Taranto sia consentita una capacità produttiva minima. Non vogliamo, né lo chiediamo, di modificare le decisioni dell’autorità giudiziaria, ma ci rifacciamo a quanto stabilito dal tribunale del riesame che ha detto che bisogna abbattere l’inquinamento, risanare gli impianti salvaguardandoli ma ha anche parlato di attività strategica produttiva». Una carta su cui, isomma, l’Ilva punta tutto: «Noi pensiamo – ha proseguito Ferrante – che i valori dell’ambiente, della salute, il risanamento degli impianti e la continuità dei posti di lavoro si tengano insieme se c’è un punto di equilibrio e questo può venire solo se all’azienda viene assicurata una capacità produttiva minima». Insomma senza produzione non c’è equilibrio secondo Ferrante che si è detto «fiducioso» sulla possibilità che la magistratura accolga questa istanza. Eppure appare quantomeno insolito che la procura possa autorizzare una richiesta che sostanzialmente modificherebbe il provvedimento emesso dal tribunale. A sostenere la possibilità che l’azienda non fermi la produzione è il ministro dell’ambiente Corrado Clini che ha evidenziato come «se dovesse essere fermato l’impianto l’Ilva potrebbe essere fuori mercato per un periodo troppo lungo per sostenere investimenti per il risanamento». Secondo Clini i tempi del risanamento si aggirerebbero intorno a 3 o 4 anni e gli interventi sarebbero così «imponenti» da «cambiare non solo la pelle, ma anche il cuore industriale di Taranto».
Il procuratore di Taranto Franco Sebastio, intanto, ha annunciato che le ipotesi di reato contestate finora ai proprietari e dirigenti dell’Ilva – disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele sui luoghi lavoro – potrebbero aumentare. “È possibile – ha spiegato Sebastio alla commissione parlamentare sulle ecomafie e ciclo di rifuti – che oltre ai reati di pericolo emergano anche dei reati di danno”. I responsabili dell’azienda, secondo Sebastio “sono stati destinatari di provvedimenti di custodia cautelare in quanto recidivi reiterati: c’è tutta una storia giudiziaria di processi che hanno visto coinvolto lo stabilimento, il primo dei quali risalente all’82”. E su questa lunga storia giudiziaria, il presidente della commissione d’inchiesta Gaetano Pecorella ha detto che “non vanno trascurate le responsabilità di quanti con azioni o omissioni hanno contribuito a determinare una situazione così drammatica come quella che si deve registrare a Taranto. L’impressione – ha concluso Pecorella – è che in tutti questi anni la magistratura abbia dovuto svolgere un ruolo di supplenza. Una situazione cui non si è voluto porre rimedio per tempo: ora ci troviamo di fronte all’ennesima emergenza in cui, come avviene spesso in Italia, viene riproposta l’alternativa inaccettabile tra la tutela della salute e la tutela dell’occupazione”.