Zonaeuro

Maastricht vent’anni dopo: in piena crisi, dilaga l’euroscetticismo

I sondaggi parlano chiaro: in Francia e Germania i cittadini oggi voterebbero contro la moneta unica. E mentre Finlandia, Austria e Olanda rimpiangono l'ingresso nell'eurozona, chi vuole entrarci prende tempo. Non così in Inghilterra: nel 2010 Cameron ha vinto per aver assicurato di mantenere la sterlina

Un’epidemia dilagante sta interessando l’Europa: l’euroscetticismo. O, comunque, un’allergia evidente alla moneta unica, quella zona euro un tempo considerata come la prima classe del convoglio comunitario. L’ultima prova della ‘malattia’ arriva dalla Francia, dove oggi, a vent’anni dalla firma del trattato di Maastricht, che spianò la strada verso l’euro, il 64 per cento della popolazione, a un eventuale referendum, si pronuncerebbe contro. Episodio isolato di euroscetticismo? No, proprio per nulla.

Francesi e tedeschi, i pentiti dell’euro – L’ultima inchiesta francese è stata realizzata dall’istituto Ifop per il quotidiano Le Figaro. Vent’anni fa in un referendum sul trattato di Maastricht i ‘sì’ passarono per un soffio, ma rappresentarono comunque la maggioranza, il 51 per cento. Oggi, invece, il 64 per cento dei francesi voterebbe contro. E il 60 per cento non vuole un’unione economica e di bilancio ‘rafforzata’, anche se il 65 per cento rifiuta la prospettiva dell’abbandono dell’euro, valutandone i rischi in questo momento. Ai risultati di questo sondaggio ne fa eco un altro recente in Germania: il 65 per cento dei tedeschi ritiene che la loro vita personale sarebbe oggi migliore, se il loro Paese avesse conservato il marco.

Chi ha già l’euro rimpiange la sua scelta – I due Paesi dell’eurozona più critici sono Finlandia e Austria. In agosto Erkki Tuomioja, ministro degli Esteri finlandese, ha ammesso che “la fine dell’euro non significherebbe quella dell’Unione europea, anzi potrebbe permettere alla Ue di funzionare meglio”. Quanto al Governo austriaco, da tempo spinge per un meccanismo che permetta l’espulsione dalla zona euro di chi non rispetta le regole sui bilanci pubblici. Pure in Olanda il dibattito (critico) sull’euro è forte, anche se alle ultime elezioni legislative sono i partiti europeisti che si sono imposti.

Chi voleva entrare nell’eurozona temporeggia – La Bulgaria è lo Stato più povero della Ue, ma a livello di finanza pubblica è esemplare (deficit pubblico, ad esempio, di appena il 2,1 per cento del Pil, il Prodotto interno lordo). Potrebbe accedere all’euro: un tempo era una prospettiva messa in conto a Sofia. All’inizio di settembre, però, Simeon Djankov, ministro degli Esteri bulgaro, ha dichiarato al Wall Street Journal che “il nostro Paese non otterrebbe alcun beneficio, solo dei costi”. Per poi aggiungere: “Noi bulgari vogliamo sapere per chi dovremo pagare, se entriamo nell’area euro. In ogni caso, è un rischio troppo forte, finché non sapremo quali sono le regole e cosa diventeranno fra uno o due anni”. Tra i Paesi baltici, solo la Lituania ha aderito alla moneta unica, nel 2011. Lettonia ed Estonia avrebbero dovuto seguire a ruota. Ma il processo è stato bloccato: a Riga e a Tallin non se ne parla più. Anche Jacek Rostowski, ministro delle Finanze polacco, ha messo le mani avanti. Riguardo alla possibile adesione all’euro (a lungo ambita) del suo Paese, che sta andando in controtendenza rispetto alla crisi economica europea, ha sottolineato che “non possiamo trasferirci in una casa in cui alcuni elementi architettonici non sono ancora stati realizzati. C’è il rischio che un muro ci crolli addosso”.

Chi non è nell’euro ne resta ben lontano – Il Regno Unito è di certo il Paese Ue più scettico nei confronti della moneta unica (anche euroscettico in generale). Lì David Cameron, eletto premier nel 2010, si è impegnato a non aderire alla moneta unica durante il suo mandato: quindi, almeno fino al 2015. Quanto alla Danimarca, beneficia di un opting-out per cui la sua valuta è legata all’euro, senza l’obbligo di adottare la moneta unica. Un nuovo referendum sull’adesione all’eurozona doveva tenersi nel 2011, ma è stato rinviato. Come già era successo nel 2008. E stavolta a data da destinarsi.