La scrittrice racconta otto storie nel suo ultimo libro edito da Rizzoli. Un volume di denuncia perché rivelatore di ciò che spesso chi subisce abusi fisici o psicologici rifiuta di vedere. “Metto in evidenza la parte oscura di un modello culturale ormai entrato in profondità che porta il maschio a pensare di possedere ciò che ama”
Una ragazza giovanissima, Marina, non denuncia il marito che la picchia selvaggiamente e la umilia ogni giorno. La trasgressiva Francesca, appena tredicenne, viene violentata da quattro suoi coetanei che poi saranno assolti dalla giustizia e dall’opinione pubblica. La dolorosa vicenda di Alessandra, che decide di non mettere al mondo un figlio frutto di una violenza sessuale. Sono solo tre delle otto storie che la scrittrice Dacia Maraini racconta nel suo nuovo libro “L’amore rubato” (ed. Rizzoli). Le protagoniste sono tutte donne vittime di violenza, sia fisica che psicologica. Episodi ispirati a una realtà che ogni giorno ci mostra mogli e compagne in balia di coniugi, fidanzati e amici violenti. In Italia, infatti, il femminicidio continua. A giugno 2012 si contavano 73 vittime solo per l’anno in corso, ma ora i numeri sono lievitati.
La Maraini apre uno spiraglio in questo silenzio. Il suo è un libro di denuncia, proprio perché rivela ciò che spesso le donne vittime di violenza non dicono o rifiutano di vedere. I suoi racconti provano a svelare anche il lato nascosto dell’uomo moderno, sempre più preda delle insicurezze e delle frustrazioni. “Le mie storie mettono in evidenza la parte oscura di un’educazione – ci ha raccontato la scrittrice – modelli culturali ormai entrati in profondità, che portano gli uomini a pensare di possedere la donna che amano”.
Tutti gli uomini di cui parla la Maraini sembrano avere una doppia personalità. Mariti che agli occhi della gente appaiono gentili ed educati, amanti affettuosi e genitori premurosi. Ma poi tra le mura domestiche si trasformano in aguzzini, dando sfogo a rabbia e violenza immotivata.
“È una realtà che ho potuto constatare studiando diversi casi. Spesso la vittima non viene creduta perché il suo carnefice mostra all’esterno un aspetto talmente ben costruito che risulta difficile convincersi che possa essere una persona violenta. Penso che la doppiezza di questi uomini nasca da un totale rifiuto del cambiamento. Non riescono ad accettare la volontà di autonomia delle donne, la loro emancipazione”.
Un’aggressività che scaturisce quindi dall’insicurezza, dalla perdita in questi anni di un ruolo dominante da parte dell’uomo, dalla consapevolezza di non avere più il controllo su una donna che ormai sfugge alla sola funzione di madre e “domestica”. Una situazione generata da una antica e persistente confusione tra passione e possesso.
“Troppo spesso si sente dire ‘l’ha uccisa perché l’amava troppo’ – ha continuato la Maraini – come se si potesse ammazzare per amore. È un controsenso che viene da un’antica cultura, la quale sostiene che l’amore sia possesso. Quindi se la donna va via mette in crisi la mascolinità, l’essere uomo”.
Questa è una mentalità ancora molto radicata nel nostro paese, forse perché ci sono zone d’Italia in cui tuttora la donna viene considerata unicamente come persona adatta alle faccende di casa, che deve parlare poco e accettare tutto. Una condizione che è ancora molto attuale. E la cronaca di tutti giorni lo conferma. Si pensi all’episodio accaduto a Trapani all’inizio dell’estate: l’omicidio di Maria Anastasi che, oltre ad accettare la presenza in casa dell’amante del marito, dopo anni di soprusi è stata uccisa a picconate dai due mentre era incinta dal quarto figlio.
“Le persone dovrebbero essere educate al rispetto dell’altro fin dall’infanzia – ha ammonito la scrittrice – Oggi c’è una nuova misoginia che viene dalla televisione, dalla pubblicità, dai fumetti, dove c’è un’idea predatoria nei confronti della donna, basata sull’uso della prepotenza, che insegna ai maschi a essere dei cacciatori. È un’idea terribile, soprattutto quando viene trasmessa ai bambini. I ragazzi si identificano con questi soggetti. Certe volte si pensa che i giovani siano diversi. Non è vero. Non so se ricorda quella ragazzina di quindici anni schiavizzata da quattro suoi coetanei per tre anni: la facevano prostituire, la violentavano. Lei non aveva mai parlato. Poi fu il padre a scoprire la cosa dopo aver letto un sms”.
Modificare un aspetto della cultura ancora radicato e profondo richiede grossi sacrifici. La Maraini pensa che sia possibile, ma gli sforzi dovrebbero partire prima di tutto dalle istituzioni scolastiche che formano gli uomini di domani.
“Bisognerà fare un lavoro sulla cultura. Educare al rispetto fin dalle scuole elementari e rimodellare la proposta dei media che ho citato prima. È necessario cominciare dalla primissima infanzia. C’è bisogno di far capire che non si può possedere nessuno. E che l’amore non giustifica il possesso”.