Lo si legge nelle motivazioni che la Suprema Corte ha depositato oggi confermando la sentenza a tre anni e mezzo per i quattro poliziotti colpevoli di omicidio: "le condotte incaute e drammaticamente lesive sono state individuate da un lato nella serie di colpi sferrati, dall'altro nelle modalità di immobilizzazione del ragazzo"
Gli agenti agirono esercitando un’azione “sproporzionatamente violenta e repressiva” su Federico Aldrovandi causandone la morte. Lo si legge nelle motivazioni che la IV sezione della corte di Cassazione ha depositato oggi confermando la sentenza a tre anni e mezzo per Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri, i quattro poliziotti della questura di Ferrara che il 25 settembre 2005 intervennero in via dell’Ippodromo e che nei tre gradi di giudizio sono stati ritenuti colpevoli dell’omicidio colposo del diciottenne.
Quarantatré pagine che, dopo la sentenza 36280 dello scorso 21 giugno, pongono l’ultima parola ancora mancante a un iter giudiziario i cui esiti si sono espressi sempre negli stessi termini: l’incontro di sette anni fa tra il ragazzo e gli agenti, mandati sul posto da una telefonata che avvertiva della presenza di un giovane in stato di agitazione, è degenerato fino al punto da diventare un pestaggio che non lasciò scampo a Federico. Inoltre “le condotte specificamente incaute e drammaticamente lesive sono state individuate da un lato nella serie di colpi sferrati contro il giovane, dall’altro nelle modalità di immobilizzazione del ragazzo, accompagnate dall’incongrua protratta pressione esercitata sul tronco”.
Già il procuratore generale Gabriele Mazzotta, nella sua requisitoria, aveva sottolineato l’efferatezza di quell’intervento, effettuato da “schegge impazzite dello Stato”. “I poliziotti”, aveva aggiunto alla vigilia del pronunciamento della Cassazione, “non avevano davanti un mostro eppure si sono avventati in quattro contro un ragazzo solo. Le condotte assunte dimostrano un grave deficit di diligenza e di regole precauzionali. L’agire dei poliziotti ha trasceso i limiti consentiti”. E ancora, come già scritto anche nelle motivazioni della Corte d’Assise d’Appello di Bologna che confermavano le parole del giudice di primo grado, Francesco Caruso, venne effettuato un “tentativo di depistare le indagini” nonostante i due manganelli spaccati addosso a Federico Aldrovandi e le cinquantaquattro lezioni riscontrate sul suo corpo.
Di fatto, rispetto alla pena stabilita dalla sentenza che non ha riconosciuto attenuanti, in forza dell’indulto del 2006 agli agenti erano rimasti sei mesi e alla fine dello scorso luglio era giunta la notizia che alcuni di loro avevano fatto richiesta di essere assegnati a servizi socialmente utili. Questo nonostante gli insulti rivolti via Facebook da uno di loro, Paolo Forlani, ai genitori di Federico Aldrovandi. La vicenda era accaduta qualche giorno dopo il pronunciamento della Cassazione e aveva portato il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri a etichettare come “frasi vergognose” quelle state scritte sulla bacheca digitale dell’associazione Prima Difesa e ad annunciare “l’immediato avvio di un procedimento disciplinare per sanzionare l’autore del gravissimo gesto”.
Infine adesso si guarda al concerto del prossimo 25 settembre nell’anniversario della morte di Federico e alla creazione di un’associazione in sua memoria che “nasce dalla volontà di proporre qualcosa di bello e costruttivo, di legare il nome di Federico alla positività e alla necessità di mettere le persone al centro di tutto”. Ma rimangono alcuni capitoli giudiziari aperti. Sono quelli della diffamazione e per uno si resta in attesa dell’udienza che ci sarà a Mantova il prossimo 2 ottobre.
Imputati Patrizia Moretti, madre di Federico, e i giornalisti Marco Zavagli di Estense.com (è anche collaboratore del fattoquotidiano.it), Paolo Boldrini e Daniele Predieri (entrambi della Nuova Ferrara) mentre parte lesa è il pubblico ministero Mariaemanuela Guerra, la prima che indagò sull’omicidio del giovane. Si tratta dello stesso magistrato che a fine agosto ha visto archiviare dal gip di Ancona Alberto Pallucchini un procedimento analogo contro due funzionari della questura di Ferrara, accusati di averne leso l’onorabilità professionale quando formularono dubbi sulle modalità con cui Guerra indagò ai tempi del processo di primo grado. Per un terzo era stato chiesto un supplemento d’indagine.